CURZIO MALTESE , la Repubblica 15/3/2011, 15 marzo 2011
DE SICA: SOLO I COMICI SANNO SPIEGARE L´ITALIA
Piaccia o non piaccia, nessun attore ha raccontato la neo borghesia italiana degli ultimi trent´anni come Christian De Sica. Quasi cento film, fra belli, brutti e orrendi. Ventisette cinepanettoni, per un incasso di seicento milioni, dove interpreta lo stesso personaggio d´italiano cialtrone, ignorante, mediocre e narciso, indifferente e bugiardo. Probabilmente la più lunga serie di successo della storia del cinema, compresi Totò e James Bond, per dire. Nella vita Christian De Sica è l´opposto. Intelligente, colto, gentile, curioso, dai molti talenti. Anche se non bisogna dirlo, che i critici patiscono. Ha scritto un´autobiografia bella e sincera, "Figlio di papà", concepita come un varietà, ma con pagine acute e struggenti sul padre Vittorio, Zavattini, Rossellini, Flaiano, Fellini, Sordi, Sergio Leone e la grande Italia che c´era una volta.
Ora torna con Amici miei, atto IV (come tutto ebbe inizio). Film in costume quattrocentesco, con un cast notevole, soggetto e sceneggiatura di Leo Benvenuti, Tullio Pinelli e Piero De Bernardi, gli stessi dell´originale, Già stroncato da un plotone di critici sulla base dei soli trailer, per la verità bruttini. Perché?
«Già, perché? Non voglio alimentare le polemiche. Ma almeno prima vedetelo. Neri Parenti ci ha lavorato per anni. Vince la logica del non l´ho visto e non mi piace»
Vi hanno accusato di aver offeso la memoria di Mario Monicelli.
«Monicelli se ne fregava, era un grande. Non considerava neppure Amici miei fra i suoi migliori. A ragione. Dino Risi ha rifatto male La Ciociara e nessuno ha scatenato campagne. Ma di che stiamo parlando? Il cinema è un gioco. E qui c´è troppa gente che si prende troppo sul serio. Mica facciamo ricerca sui tumori».
Suo padre, Zavattini, Rossellini, Fellini e gli altri si prendevano molto meno sul serio, a giudicare dal suo libro.
«Diversissimi l´uno dall´altro, ma con in comune l´ironia, la curiosità e la generosità. Lo scambio continuo di idee era la norma. Questi girano attorniati da piccoli clan di adoratori. Roba triste».
Il film che ama di più di suo padre?
«Umberto D. Rigoroso, perfetto. La storia di un professore antipatico, solo, disperato, che vuole suicidarsi. Rizzoli voleva che lo interpretasse mio padre: ah, se me lo facesse lei, con quella simpatia. E lui, secco: ma il personaggio non deve essere simpatico, se mi metto a fare Vittorio De Sica, lo rovino».
Nel cinema italiano di oggi, c´è qualcosa di paragonabile a quella grandezza?
«Negli ultimi anni ne ho visto uno solo, Gomorra di Matteo Garrone. Un autentico capolavoro. A parte questo, uno dei rari film che racconta davvero l´Italia».
I cinepanettoni erano concepiti come farse, grottesco, caricatura. E invece a rivederli sono profetici dell´ascesa al potere di una classe dirigente da bunga bunga. Non sono, in fondo, neorealismo?
«Gli italiani sono diventati grotteschi. Noi compresi. Non ci sono più i grandi geni, ma nemmeno ci sono gli italiani che li hanno ispirati, Umberto D, Ricci-Maggiorani, lo sciuscià, Totò il buono. E´ arrivata la piena di una "lumpen-borghesia" ricca e burina a sommergere ogni slancio poetico, a triturare ogni valore nel pappone televisivo. I cinepanettoni sono spesso brutti, ma ci sono sempre cinque minuti straordinari. Se li montassimo tutti insieme, avremmo un quadro di come il paese reale è cambiato o non è cambiato negli ultimi trent´anni».
Perché l´Italia reale, da un certo punto in poi, è stata raccontata soltanto dai film comici e non più dal cosiddetto cinema d´autore? E´ una realtà soltanto ridicola?
«No. Il fatto è che i comici prendono ancora i mezzi pubblici, stanno al bar, parlano con le persone normali, ascoltano. Come faceva appunto Zavattini. I cineasti laureati invece passano il tempo fra di loro, oppure con i politici. Ed è una tragedia per entrambi, per i registi e per i politici. Poi non capiscono perché vince Berlusconi. Perché tutti ‘sti ladroni hanno successo».
Davvero lei riesce ancora ad andare in giro per Roma senza essere fermato ogni cinque minuti?
«Sì, a volte mi nascondo dietro gli occhialoni da sole, mi maschero. Ma è essenziale. L´errore di Sordi, Tognazzi, Gassman, Manfredi, dopo l´enorme successo della commedia all´italiana, fu quello di rinchiudersi nelle ville a organizzare serate fra amici. Non vedevano più uno fuori dal giro. Un giorno Luchino Visconti disse a mio padre: vedi, ormai non andiamo più in giro, quindi non potremo fare mai più La terra trema o Ladri di biciclette. Ci tocca fare Morte a Venezia e Il Giardino dei Finzi Contini. Cose bellissime, per carità. Ma la vita sta altrove».