NELLO AJELLO, la Repubblica 15/3/2011, 15 marzo 2011
15 MARZO, I DUE BALUARDI DELLA RESISTENZA ULTIMO OSTACOLO VERSO L´UNIT
- Per completare il disegno dell´"Italia possibile" in questo marzo del 1861, restano ancora due roccaforti da conquistare: una città in Sicilia e un villaggio in provincia di Teramo. Sono Messina e Civitella del Tronto. Resistono agli attacchi militari. Respingono le lusinghe diplomatiche. Lasciano scadere gli ultimatum. Quando, sulla metà del mese scorso, Gaeta ha capitolato e il generale Chiabrera ha indirizzato al capoluogo isolano, in nome di re Vittorio Emanuele, un´intimazione di resa, sia pure condita con patriottiche parole, la risposta del maresciallo borbonico Fergola, comandante sul posto, è stata secca: Messina non è legata a quell´avamposto fra Lazio e Campania dove usano rifugiarsi i pontefici in rotta e dove hanno trovato riparo Franceschiello e la sua sposa. Qui, in questa ridotta siciliana, il regno del Sud si batterà fino all´ultimo. Anche la lettera che l´ex monarca borbonico ha indirizzato a Fergola, esortandolo ad arrendersi, è rimasta, nell´immediato, senza esito.
A un giornale napoletano che rievocava un motto storico, tra faceto e rassegnato, attribuito a re Ferdinando II («Napule fernisce a Gaeta», Napoli finisce a Gaeta) Fergola fece rispondere dalla cittadella assediata: ebbene, sì, venite qui a vedere se Messina «sta finendo». Hanno potuto constatare la robustezza di questi propositi le unità della flotta al comando dell´ammiraglio Carlo Persano, conte di Pellion, che stazionano in porto: la Carlo Alberto, la Re Galantuomo, la Conte di Cavour, la Costituzione, la Rosolino Pilo. Esse non eccedono nei tiri d´artiglieria per non decimare la popolazione eccitandone a dismisura l´eroismo: la cittadella che resiste, denominata Don Blasco, è isolata, ma non troppo, dal più fitto abitato. Confermano questa situazione di stallo i marinai delle unità inglesi, francesi, americane perfino, che da settimane si affacciano in rada. Tre giorni fa un nostro brigantino, avvicinandosi troppo al porto, vi si è incagliato. Preso a bersaglio dai cannoni borbonici, è colato a picco. Non mancano tuttavia, nelle ultime ore, i sintomi del disfacimento. Nella cittadella, le musiche militari si mescolano, a tratti, alle messe cantate. Si prega con fervore per la riabilitazione di Francesco II, di cui ci si considera gli ultimi fedeli. In città, il clima è diverso: venerdì scorso è stato linciato dalla folla un individuo, uscito dalla cittadella, che si supponeva fosse una spia borbonica. Ma il sintomo che davvero preannunzia la disfatta sono le diserzioni: per ultimi, tre colonnelli, abbandonando la roccaforte, sono stati accolti dai civili ormai esausti con grida di «Viva Vittorio Emanuele» e «Viva l´Italia». Ma ecco la notizia che dissipa ogni indugio. L´ultimatum finale è stato fissato in tre ore: il generale Cialdini rifiuta ogni capitolazione. La resa sarà incondizionata. Sono fatti prigionieri cinque generali, centocinquanta ufficiali, cinquemila effettivi di truppa con trecento cannoni. Dopo che il presidente Cavour ha annunziato alla Camera la resa della piazzaforte siciliana, i parlamentari hanno votato una mozione di plauso ai combattenti dell´esercito e della flotta. Il consiglio comunale di Messina si prepara intanto a deliberare con procedura d´urgenza l´erezione di un busto onorario al generale Enrico Cialdini. A lui e all´ammiraglio Persano verrà inoltre concessa la cittadinanza onoraria di Messina.
Più accanita, se possibile, è la resistenza di Civitella del Tronto, un borgo a una diecina di chilometri da Teramo, che sembra, per la sua conformazione fisica, un naturale caposaldo di guerra. A un lettore di giornali, quella relativa ai fatti di Civitella può apparire una rubrica di cronaca, stringata ma puntuale. Ora si registra l´arrivo nella cittadina del generale Enrico Morozzo della Rocca, un conte napoletano che figura tra i confidenti di Francesco II e lo ha fedelmente seguito nell´esilio pontificio. L´ordine di resa, firmato dall´ex sovrano e affidato al generale, non ha sortito alcun effetto sui difensori del bastione, che somigliano più a una torma di briganti che a una guarnigione militare. Anche qui l´annuncio della capitolazione di Gaeta non ha lasciato presagire una rinuncia. Risuonano, semmai, dichiarazioni temerarie e controproducenti anche da parte italiana, quasi che in questo villaggio si stia giocando davvero una partita decisiva per la libertà d´Italia (o forse d´Europa). Il generale Ferdinando Pinelli, comandante delle truppe italiane, autore di un proclama irresponsabile nella sua pretesa di fierezza - «contro nemici come questi ogni gesto di pietà è un misfatto», ecco una delle frasi più reboanti da lui adoperate - è stato subito sostituito da un collega più cauto, Luigi Mezzacapo, un ex capo di volontari romagnoli. Neppure la caduta di Messina sembra aver scosso davvero i resistenti; sembrano allo stremo, ma chissà. Riscuote successo una battuta che i settimanali di satira si contendono, con un po´ di irriverenza. «L´unità d´Italia ormai si fa, ma senza Civitella».