Roberta Camesasca, varie, 16 marzo 2011
MODA ITALIANA, PER VOCE ARANCIO
Amata e imitata, la moda italiana è il fiore all’occhiello dell’eccellenza del made in Italy nel mondo. Franca Sozzani: «Non esiste paese al mondo con una così alta concentrazione di marchi come l’Italia. Questi marchi sono famosi, hanno successo perché sono il risultato di menti creative, perché sono propositivi, reali e, qualità da non sottovalutare, portabili. Abbiamo stilisti così famosi da essere più volte citati in film stranieri o il cui nome è diventato il titolo stesso di un film. Nelle strade dello shopping più note di ogni città e paese i nomi italiani sono quelli con il maggior numero di negozi. Sui giornali stranieri la pubblicità di marchi italiani è spesso predominante. […] E come mai nei grandi magazzini di tutto il mondo i nostri marchi hanno più corner di tutti gli altri? […] ».
«Adoro la moda italiana» (Suzy Menkes dell’Herald Tribune).
La moda italiana è nata ufficialmente il 12 febbraio 1951, quando, a Firenze, il marchese Giovan Battista Giorgini organizzò, nella sua casa in via dei Serragli, il First Italian High Fashion Show, la prima sfilata di moda italiana. Giorgini mise insieme dieci stilisti (le sorelle Fontana, Emilio Schubert, Jole Veneziani, Marucelli, Pucci ecc.) con 18 modelli a testa e convinse i compratori americani a venire a vedere lo stile italiano prima di andare alle sfilate di Parigi. Il successo fu immediato. A Parigi, e poi in America, non si parlò d’altro. Giorgini: «Questo gruppo di cinque compratori tornò in America con tale entusiasmo che quando feci la seconda sfilata vennero dall’America in 300!». Prima di Giorgini le case di alta moda italiane vendevano solo a privati.
«Il primo vero applauso, di quelli che scoppiano spontanei […] toccò ad un abito della terza collezione, un modello di tulle bianco con una grande gonna a volante pieghettati di forma pentagonale e spruzzati di pagliuzze. Era indossato, con un sontuoso mantello rosso papavero che la ragazza, intimidita e sorpresa dall’uragano di battimani, abbandonò sul tappeto fuggendo negli spogliatoi» (da Stampa Sera del 24 luglio 1951).
Il 25 aprile 1988 Laura Biagiotti presentò le sue collezioni in Cina. Fu la prima stilista italiana a farlo. Tre modelle italiane e 20 cinesi sfilarono con 125 abiti, dai toni bianchi e rosso lacca, per un evento trasmesso dal canale 2 e visto da 200 milioni di persone. La stilista: «Fu come aprire il vaso di Pandora. Da come le modelle si erano accaparrate le spalline adesive ho capito che il mercato era pronto» (al Corriere della Sera). La Biagiotti, nel 1995, è stata anche la prima stilista italiana a sfilare anche a Mosca, al Cremlino, nella vecchia sede del Pcus.
Oggi in Italia ci sono più di 112mila imprese attive nel comparto moda, con un fatturato annuale stimato di oltre 60 miliardi di euro.
A Milano, quasi ogni 24 ore, nasce un’impresa di moda (342 in un anno su 7.413 di tutta Italia). Una su cinque ha un titolare under 30 e una su due è a conduzione femminile. La creazione e produzione di moda determina in città un fatturato di quasi 8 miliardi di euro l’anno e dà lavoro a 45 mila addetti (fonte: Camera di Commercio).
Il 70% dei turisti in vacanza in Italia sceglie proprio Milano per fare shopping e il 43% ridurrebbe il soggiorno se non dovesse fare spese. Punto di riferimento è la zona intorno al Duomo, che vale per indotto turistico quasi 200 milioni di euro. Seguono corso Vittorio Emanuele (143 milioni), via Torino (96 milioni), Montenapoleone (86 milioni). Meta emergente, Corso Buenos Aires (64 milioni).
«Lo sappiamo tutti che quelli che spendono sono i russi» (la stilista Anna Molinari al Sole 24 Ore).
Nelle boutique di via Montenapoleone un cliente su sei è russo (il 32%) e in un weekend spende almeno 5 mila euro. Dopo i russi, i più assidui sono i cinesi (12%), i giapponesi (7%), gli statunitensi (4%), gli ucraini (4%) e i brasiliani (3%). In totale, la metà del fatturato di via Montenapoleone. L’altra metà dipende dai clienti italiani ed europei, in particolare francesi, tedeschi e spagnoli (indagini Premier Tax Free e Global Blue).
Meta del turismo finalizzato allo shopping non sono soltanto le boutique delle città più grandi. In Italia ci sono più di 30 outlet (in media oltre i 20mila metri quadrati) che offrono la possibilità di acquistare i più famosi brand del made in Italy, da Armani a Valentino, da Dolce&Gabbana a Versace e Gucci, con sconti del 50-70%. Oltre agli italiani i principali clienti di queste cittadelle del risparmio sono i turisti, in particolare quelli provenienti da Russia, Germania, Austria, Francia e Inghilterra, ma anche da Cina, Corea del Sud, Usa, Serbia, Ucraina e Brasile.
Per il gruppo Mc Arthur Glen i turisti valgono circa il 15% del fatturato italiano. Ad esempio, nel 2010, per il Designer Outlet di Noventa di Piave i vacanzieri italiani e stranieri hanno rappresentato il 35% dei clienti, raggiungendo anche il 70% a luglio e agosto. Tedeschi, austriaci, francesi, ma anche russi, cinesi, coreani e brasiliani, le cui vendite hanno registrato un 254% in più rispetto al 2009 e hanno fatto salire il fatturato dell’outlet a 60 milioni di euro (+ 57% rispetto al 2009).
Al Palmanova Outlet Village, in Friuli Venezia Giulia, i visitatori, che arrivano da tutto il Nord Italia, ma soprattutto da Austria, Slovenia, Croazia e Serbia (il 40% dei visitatori totali), hanno portato un incremento dei volumi di vendita del 18% rispetto al 2009, mentre al Fidenza Village – unico outlet italiano del Gruppo Value Retail – il fatturato è cresciuto del 15% anche grazie allo shopping dei clienti tedeschi in vacanza nella vicina riviera romagnola.
Dopo la crisi che ha colpito il settore moda nel 2008 e nel 2009, nel primo semestre del 2010, i ricavi di Aeffe, Benetton, Bulgari, Csp (gruppo della calzetteria), Geox, Gucci, Luxottica, Marcolin, Prada, Safilo, Stefanel e Tod’s sono aumentati dell’8,1%, passando da 7.591 a 8.208 milioni. Le aziende che sono cresciute di più sono Prada (+24%), Marcolin (+15,6%) e Bulgari (11,8%). Hanno invece registrato un calo di fatturato Geox (-9,8%), Aeffe (-7,4%) e Csp (-5,5%) (Analisi Pambianco 2010).
Nel 2010 l’export è cresciuto del 5,5% con buoni risultati negli Usa (+12%) e Cina (+ 34%). La Francia e la Germania si contendono il primo posto tra i paesi importatori dall’Italia seguiti da Spagna, Russia, Stati Uniti, Regno Unito, Hong Kong (Cina) e Giappone. Le criticità maggiori della moda femminile si sono, invece, manifestate sul mercato interno, dove si è verificata una contrazione del consumo di circa il 2,8%.
Dal 2004 al 2008, le aziende italiane presenti sui mercati esteri sono aumentate dell’11,5%, passando dal 61,13% del 2004 al 72,67% del 2008.
Marco Marchi, amministratore della Liu-Jo al Corriere della Sera: «Vendiamo il 70% della nostra produzione in Italia e il 30% all’estero, soprattutto in Europa ma anche altrove. E sull’estero punteremo molto quest’anno, con una campagna pubblicitaria tv in sei nazioni europee e in Asia. Vogliamo arrivare a proporre un brand internazionale, con l’apertura di numerosi nuovi negozi monomarca. La Polonia, con i suoi quaranta milioni di abitanti e con il Pil in forte crescita, è uno degli Stati con le maggiori potenzialità in Europa. Quanto a prodotto interno lordo, noi italiani siamo diventati ormai il fanalino di coda, ci supera addirittura la Turchia […]. E che dire poi del Brasile? Un immenso mercato!».
La Cina è il primo mercato di sbocco per molti brand italiani. Nel 2009, per Zegna, la «Grande Cina» (compreso Hong Kong e Macao), ha superato gli Stati Uniti. Per Armani, ha avuto una crescita del 32%. Ferragamo ne ha derivato il 20% del fatturato, Gucci il 21%. L’anno scorso, Bottega Veneta ha aperto 11 punti vendita nell’area Asia-Pacifico, diventata il suo principale mercato (28%), davanti anche al Giappone (27%, al terzo trimestre 2009). Prada ha nella Repubblica Popolare Cinese 14 boutique (di cui tre a Pechino e tre a Shanghai), cui si aggiungono le nove di Hong Kong e le due di Macao. Un mercato che nel 2010 ha visto un incremento del 75% sul 2009 per 389 milioni di euro, un quinto circa del fatturato globale del gruppo. Quest’anno verranno aperte altre nove boutique in città città.
«Ho aperto un atelier a Mosca, nella via più bella della città, dove vado almeno una volta al mese. Le signore russe vogliono che sia io a fare le prove, un po’ come si faceva in America negli anni d’oro dell’alta moda italiana. In Russia ci adorano e non chiedono solo abiti da sposa o da gran sera. Ormai comprano anche per il giorno. […] A Mosca apprezzano molto la nostra artigianalità e amano l’unicità. Ho avuto grandi soddisfazioni in Russia» (Lorenzo Riva, stilista).
Anche gli Stati Uniti sono tornati a comprare. Le vendite di Aeffe, società del lusso cui fanno capo i marchi Alberta Ferretti, Moschino e Pollini, hanno registrato in America un incremento del 4,5%. A cui si aggiunge un incremento del 12,7% in Giappone.
La forza sul mercato dei brand italiani fa sempre più gola ai grossi gruppi stranieri. Pochi giorni fa, il colosso francese Lvmh ha acquistato Bulgari, griffe italiana simbolo del lusso, per 4,3 miliardi di euro. Prima di Bulgari, era toccato a Fendi, Emilio Pucci, StefanoBi e Acqua di Parma. Il Paris Group di Dubai ha appena acquisito la Gianfranco Ferrè, ceduta a seguito della vicende della It holding finita in amministrazione controllata e anche la famiglia Ferragamo ha ceduto l’8% del capitale all’ imprenditore cinese Peter Woo.
«[…] L’acquisto di Bulgari da parte del gruppo francese Lvmh, […] unito alla cessione della Gianfranco Ferré al Paris group di Dubai, e a quella meno recente di Gucci a Ppr che tramite Gucci possiede anche Yves Saint Laurent, Boucheron, Bottega Veneta e Balenciaga, mostra che i gruppi del lusso e della moda francesi fanno sistema e comprano una dopo l’altra imprese italiane del ramo […]. E quando non sono le grandi case francesi a fare l’acquisto delle ditte italiane della moda e del lusso si trovano gli uomini d’affari dei Paesi emergenti, interessati a questo business che rende: data la crescente domanda da parte dei benestanti dell’Asia, del Sud America, della Russia, del Medio Oriente e dei Paesi nuovi dell’Unione europea, che si affianca a quella degli abbienti del Nord America e dell’Europa occidentale. […] Quel che accade dimostra che l’industria di fascia alta italiana è fiorente. Invero accanto ad una impresa italiana che è una star affermata che i francesi da soli o con gli arabi comperano, ce ne sono altre nuove, che emergono come nostre star. Così il Made in Italia, con nome e gusto italiano e imprese in Italia, controllate dagli stranieri o da italiani diventa sempre più importante nei mercati internazionali» (Francesco Forte per il Giornale).