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 2011  marzo 16 Mercoledì calendario

Cade l’ultima roccaforte Le truppe di Gheddafi sulla strada di Bengasi - Quando il colonnello Gheddafi parla dei ribelli, che hanno inutilmente cercato di abbatterlo, lo fa con delle smor­fie di disgusto

Cade l’ultima roccaforte Le truppe di Gheddafi sulla strada di Bengasi - Quando il colonnello Gheddafi parla dei ribelli, che hanno inutilmente cercato di abbatterlo, lo fa con delle smor­fie di disgusto. Oppure muove le mani come se dovesse schiac­ciare una pulce o far volar via una mosca. Nell’intervista esclusiva a Il Giornale di lunedì, ripresa in mezzo mondo, usava questa mimica per ribadire che i rivoltosi «non hanno speran­ze ». Le notizie che si susseguo­no dal fronte a sud di Bengasi, roccaforte anti Gheddafi, sem­brano dargli ragione. Il colon­nello conosce l’inglese e capi­sc­e subito le domande senza bi­sogno del traduttore. Ogni volta che si tornava sui ribelli cambia­va anche il modo di parlare in arabo diventando più veloce e sibilando, come se il nemico fos­se poca cosa, con le spalle al ma­re­e costretto a scegliere fra la re­sa e la morte. Le forze governative hanno conquistato Agedabia, lo sno­do stradale strategico che porta a Bengasi, ma pure a Tobruk, lungo 400 chilometri in mezzo al deserto dove non ci sarebbe­ro ostacoli. Il colonnello, nell’in­tervista di lunedì, ha ribadito che l’ordine è assediare le gran­di città in mano ai rivoltosi. Se i carri armati della 32ª brigata, guidata dal figlio Khamis, mar­ciassero su Tobruk, tutta la Cir­e­naica finirebbe in una sacca. Ie­ri­la televisione libica annuncia­va che la bandiera verde del co­lonnello sventola già dai sob­borghi di Tobruk a Sallum, il po­sto di frontiera con l’Egitto. Noti­zia incontrollabile, ma se fosse vera la regione ribelle non avrebbe scampo. Gli anti Ghed­dafi hanno il mare alle spalle, ma il colonnello ha sostenuto che se non si arrendono «posso­no scappare via». Si fa strada l’idea che alla fine saranno le na­vi della Nato, comprese quelle italiane, a recuperare i civili in fuga dalla Cirenaica ed i resti dei ribelli, per evitare un bagno di sangue. La tv libica ha mandato in on­da de­lle immagini di manifesta­zioni dei ’ verdi’ pro Colonnello alle porte di Misurata. La terza città del Paese, a soli 200 chilo­metri ad ovest di Tripoli, è in ma­no ai ribelli, ma Gheddafi l’ha circondata. Nell’intervista esclusiva a Il Giornale l’aveva presa come esempio della tatti­ca dell’assedio per costringere i rivoltosi alla resa, o a fuggire via mare. I ribelli sono in ritirata e la co­munità internazionale pure. Nel vertice dei ministri degli Esteri del G8 riuniti a Parigi, il ve­to russo- tedesco ha bocciato de­f­initivamente la zona di non sor­volo sulla Libia. Ora tocca al Consiglio di sicurezza dell’ Onu, ma come ha osservato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, «i carri armati si muo­vono più velocemente». Per cercare di resistere i ribel­li di Zuara e Al Zawiya, ad ovest di Tripoli, si facevano rifornire dalla Tunisia con imbarcazioni cariche di provviste e medicina­li. Le stesse usate per trasporta­re i migranti a Lampedusa. Zua­ra era una delle basi di partenza dei clandestini verso l’Italia. Poi i rifornimenti proseguivano sul dorso dei dromedari seguendo le piste nel deserto dei contrab­bandieri di carburante. Dal poroso confine con la Tu­ni­sia sono passati anche volon­tari del Gruppo combattente islamico libico. Salah Moham­med Abu Oba, arrestato quan­do i­governativi hanno riconqui­stato Al Zawiya, è uno dei mem­b­ri della fazione armata affiliata ad Al Qaida, che organizzava la logistica. «Ho aderito al Grup­po islamico nel 1997 nello Ye­men. Poi sono andato in Inghil­terra chiedendo asilo politico» racconta il presunto terrorista, che abbiamo incontrato nella centrale di interrogatorio della polizia a Tripoli. Nel 2010 rientra in Libia gra­zie all’amnistia voluta da Seif el Islam, figlio di Gheddafi. Quan­do scoppia la rivolta fa «arrivare medicine e cibo» ai rivoltosi di Al Zawiya. Non solo: «Aiutavo i combattenti, che arrivavano dall’Inghilterra, a raggiungere la Libia attraverso la Tunisia». Per oltre dieci anni il presunto terrorista ha vissuto a Manche­ster dove «conoscevo almeno una trentina di membri del Gruppo islamico». Salah, che ha pure la cittadinanza britanni­ca, raccoglieva fondi per la cau­sa nelle moschee o­grazie alle or­ganizzazioni caritatevoli musul­mane. Almeno quattro combat­tenti provenienti da Manche­­ster, che ha infiltrato, sarebbero ancora con le armi in pugno a Nalut, una città nella Libia sud occidentale.