Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 16/3/2011, 16 marzo 2011
MATERIE PRIME TUTTE IN FRENATA
La catastrofe giapponese ha travolto anche i mercati delle materie prime. Nessuna commodity è stata risparmiata dalle vendite, che ieri – col crescere dell’allarme nucleare – si sono intensificate al punto da tradursi in qualche caso in un vero e proprio crollo. Il petrolio, nonostante le violenze in Nord Africa e Medio Oriente, è arretrato di oltre il 4%, tornando nel caso del Brent a 108,52 dollari al barile. Perdite superiori al 4% hanno registrato anche molti metalli e prodotti agricoli. Lo zucchero grezzo ha subìto un tonfo del 7,7%, il frumento è sceso ai minimi da sei mesi a Parigi, mentre a Londra il rame è tornato ai livelli di tre mesi fa, sotto 9mila $/tonnellata. Persino l’oro è stato scaricato dai portafogli degli investitori, probabilmente costretti a fare cassa per rifarsi dalle pesanti perdite accusate sui listini azionari e per rispondere alle pressanti richieste di reintegro dei margini di garanzia: il metallo giallo è sceso di oltre il 2%, sotto 1.400 $/oncia.
Liquidazioni in parte legate alla fuga dal rischio, quelle sui mercati delle commodities. La gravità del disastro che ha colpito il Giappone e le possibili conseguenze degli incidenti nelle centrali nucleari, tuttavia, avranno ripercussioni in qualche caso profonde e durature sulla domanda di materie prime: risorse di cui il Giappone, terza potenza economica mondiale, scarseggia, ma che importa in grandi quantità. Tokyo è al terzo posto nella classifica degli importatori di petrolio, addirittura al primo nel caso del carbone termico e del Gas naturale liquefatto (Gnl). Le sue industrie sono responsabili di circa un decimo dei consumi globali di metalli non ferrosi e le case automobilistiche, in particolare, assorbono oltre il 15% di platino e palladio, utilizzati nelle marmitte catalitiche. I giapponesi sono anche, inaspettatamente, i primi importatori mondiali di mais e tra i maggiori acquirenti di frumento e soia.
Terremoto e tsunami hanno provocato gravissimi danni alle infrastrutture del paese (compresi i terminal marittimi utilizzati per le importazioni), oltre a costringere una buona fetta delle imprese a fermarsi, per via della riduzione di elettricità: secondo le ultime stime, è venuto meno un quinto della potenza nucleare installata, per un totale di 9,700 Megawatt. Ma sarebbero ferme anche centrali alimentate con combustibili fossili, per altri 10.800 Mw. Inoltre, si calcola che siano state danneggiate raffinerie per una capacità superiore a un milione di barili al giorno. Nell’immediato è scontato che vi sia una contrazione dei consumi di materie prime, in campo energetico e non solo. La situazione sarà tuttavia solo temporanea: il Gnl – soluzione più probabile, nell’immediato, per generare l’energia perduta col blocco dei reattori nucleari – ha già subito un’impennata di prezzo. Gli analisti prevedono inoltre che a breve il Giappone sarà costretto ad accrescere anche gli acquisti di olio combustibile e carbone. Per altre commodities l’effetto ribassista potrebbe durare più a lungo. Ma la situazione sui mercati potrebbe addirittura capovolgersi nel giro di qualche mese, quando le imprese giapponesi torneranno a produrre e, ancor più, quando partirà la ricostruzione.