Martin Wolf, Il Sole 24 Ore 16/3/2011, 16 marzo 2011
C’È LA FORZA PER RISOLLEVARE L’ECONOMIA
«Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Il filosofo Ludwig Wittgenstein poneva questi limiti alla nostra espressione. Sul dolore e l’angoscia degli esseri umani colpiti dalle forze della natura, non scriverò. Ma resta la necessità di valutare le conseguenze della catastrofe sul Giappone e il resto del mondo. Se esiste una civiltà assicurata contro simili tragedie è il Giappone. Il suo popolo riuscirà ad affrontarle. Una domanda più difficile è se dalla tragedia possa emergere qualcosa di più positivo. I litigiosi politici giapponesi sono messi a dura prova. Riusciranno a rafforzare il sentimento di unità nazionale per far uscire il paese dalla depressione economica degli ultimi vent’anni? Quali saranno le conseguenze economiche di una calamità di queste proporzioni? Quelle dirette sono la distruzione della ricchezza e il dissesto dell’economia. Di particolare rilevanza sarà l’effetto che avrà sull’atteggiamento verso l’industria nucleare globale e il suo futuro. Le perdite inoltre devono essere divise tra le persone direttamente colpite e gli assicuratori, privati e pubblici.
Poi vi sarà il "surge" della ricostruzione, che ridistribuirà la spesa e, in un periodo di ristagno economico, probabilmente contribuirà anche ad alzarla. L’impatto sulla spesa, a sua volta, influenzerà le posizioni politiche, monetarie e fiscali del paese e il suo bilancio estero.
Tutto questo è chiaro, qualitativamente. È molto più difficile fare previsioni quantitative ragionevoli, anche a causa della crisi nucleare in corso. Nel suo modo meticoloso, Goldman Sachs ha stimato il costo totale dei danni agli edifici, alle strutture produttive e simili in circa 16mila miliardi di yen (198 miliardi di dollari). Corrisponderebbe a circa 1,6 volte la distruzione causata nel 1995 dal terremoto di Hanshin, che devastò Kobe.
Dato che il terremoto attuale è stato più potente la cosa non sorprende. Se la stima fosse corretta, il costo equivarrebbe al 4% del Prodotto interno lordo e a meno dell’1% della ricchezza nazionale. Eppure il mercato azionario giapponese ha perso 610 miliardi di dollari da venerdì, il 12% del Pil - probabilmente una reazione eccessiva.
Il dissesto economico stavolta sarà più grave che nel 1995, anche a causa delle interruzioni nell’erogazione di energia elettrica. Molto dipende da quanto queste dureranno. Se continuassero fino alla fine di aprile, sostiene Goldman Sachs, a un declino del Pil reale nel secondo quadrimestre probabilmente seguirà una ripresa nel terzo quadrimestre. Se continuassero per tutto il 2011, è prevedibile una contrazione del Pil per tutto l’anno.
Nonostante ciò sembra estremamente improbabile che l’effetto sia dello stesso ordine di grandezza di quello della crisi economica mondiale. Questa ha fatto scendere il Pil del Giappone del 10% tra il primo quadrimestre del 2008 e il primo quadrimestre del 2009, il calo più forte tra i paesi del G7. L’effetto del nuovo trauma certamente sarà minore.
Il costo per le assicurazioni
Il colpo sugli assicuratori sarà forte. Le prime stime dei danni vanno da 10 miliardi di dollari a più di 60 miliardi. Sono stime in costante crescita dal momento del terremoto. Potremmo trovarci di fronte al più costoso disastro della storia. Che inoltre segue due grandi terremoti in Nuova Zelanda e le inondazioni in Australia. L’industria mondiale delle assicurazioni sarà messa a dura prova. Ma l’ultima risorsa delle compagnie di assicurazione sono i governi. Sarà così anche in Giappone. Anche l’industria bancaria subirà delle perdite. Ma dalle cifre disponibili non dovrebbero essere troppo dure da sopportare.
Le uscite fiscali collegate al terremoto di Hanshin sono state di 5.200 miliardi di yen (64 miliardi di dollari) in cinque anni. Se il costo pubblico dell’attuale terremoto fosse di 1,6 volte quello precedente, in totale arriverebbe a circa 100 miliardi di dollari, equivalenti al 2% del Pil annuale, con una media annuale dello 0,4% del Pil su un periodo, poniamo, di cinque anni.
Ci sarebbe anche un impatto sugli introiti fiscali. È troppo presto per fare stime sicure su un periodo così lungo. In ogni caso si tratta di cifre troppo modeste per avere conseguenze significative sulla solvibilità fiscale.
L’Ocse prevede che le passività finanziarie pubbliche lorde giapponesi saranno pari al 204% del Pil alla fine del 2011, e le passività finanziarie nette pari al 120 per cento. Il deficit dei conti pubblici è stimato al 7,5% del Pil quest’anno. Contro questi grandi numeri, il costo prospettato per la ricostruzione dopo il terremoto sembra quasi una bagatella.
Inoltre l’impatto a breve termine di una qualsiasi sbalzo di spesa dovrebbe essere positivo. Nel primo quadrimestre dell’anno in corso, il Pil è stato inferiore del 4% rispetto a quello del primo quadrimestre del 2008. C’è ampio spazio per un aumento della domanda e un conseguente aumento della produzione.
Lo sforzo del governo
Alcuni si domandano se il governo giapponese può permettersi ulteriori spese. Si tranquillizzino: il Giappone può pagare e senza dubbio pagherà queste somme relativamente modeste. Il settore privato giapponese conosce un surplus economico abbastanza consistente da coprire il deficit pubblico ed esportare sostanziosi capitali all’estero. Nel complesso il Giappone è il maggiore creditore mondiale, con attivi netti sull’estero equivalenti al 60% del Pil. In sintesi, gli attivi del settore privato giapponese superano le passività del suo settore pubblico.
Attraverso il debito pubblico i giapponesi devono denaro a loro stessi. A un certo punto indubbiamente questo debito si trasformerà in tassazione, dichiarata o coperta (quest’ultima tramite l’inflazione e le riduzioni del valore del debito pubblico giapponese). Dato che le entrate pubbliche costituiscono ancora solo il 33% del Pil, alzare le tasse non dovrebbe essere tanto difficile. L’idea che il governo si trovi di fronte a un’imminente crisi economica mi sembra piuttosto bizzarra.
Il ruolo della Banca centrale
La Banca centrale ha un ruolo importante nel garantire liquidità, come ha fatto. Man mano che il capitale giapponese torna a casa, lo yen salirà. La risposta delle autorità dovrebbe essere quella di cercare di mantenerlo basso. Da tempo ritengo che non si sarebbe mai dovuto permettere allo yen di salire tanto. Seguendo questa strada con decisione, si sarebbe arrestata la deflazione.
Nel frattempo il governo ha l’opportunità di riunire il paese intorno a un programma di riforma e di riduzione delle spese. il fulcro di questo programma non dovrebbero essere tanto gli sforzi per aumentare la produttività. Dal 1990 la produzione giapponese si è alzata tanto quanto quella statunitense. Un problema più grande per il Giappone è l’eccesso dei risparmi aziendali. Una politica che incoraggiasse le imprese a distribuire molte più entrate agli azionisti sarebbe di aiuto. Se ciò si realizzasse, anche i piani di taglio del deficit di bilancio a lungo termine dovrebbero funzionare.
È nelle avversità che un paese mostra la sua tempra. I giapponesi senza dubbio lo faranno. Sta ai governanti mostrarsi all’altezza del loro popolo. Se riusciranno a farlo, alla catastrofe potrebbe seguire una rinascita.
(Traduzione di Elisa Comito)