Diego Gabutti, ItaliaOggi 16/3/2011, 16 marzo 2011
SULLO TSUNAMI DEL 1775 INTERVENNERO GRANDI FILOSOFI
Com’è possibile che il terremoto in Giappone (per di più quando è ancora in corso, mentre le immagini dello tsunami che travolge le coste giapponesi continuano a scorrere sui teleschermi) sia stato ridotto dai nostri politici, polemisti e conduttori di talk show a un confronto tra demagoghi su meriti e colpe della «scelta nucleare» annunciata (e non per la prima volta) dal governo?
Migliaia di vittime, forse decine di migliaia, un’apocalisse, il terremoto, lo tsunami, adesso anche il rischio d’una nube radioattiva, un’economia vicina al tracollo, qualcosa di mai visto prima, e gl’italiani sono di nuovo lì, come ai tempi di Chernobyl e del referendum, venticinque anni fa, a questionare sulle centrali nucleari. Farle? Non farle? Ci sarà da fidarsene, cara signora? Non sono meglio le «energie alternative» (stentate, insufficienti e costose ma pulite)? E sempre con gli stessi argomenti: le centrali sono pericolose; sì è vero ma non quelle di terza (o quarta, forse anche quinta) generazione che invece sono sicurissime; d’accordo saranno anche sicurissime ma se poi viene un terremoto; e se poi cade un meteorite; e se poi si solleva un’onda anomala alta come un grattacielo; e se poi si fonde il nocciolo o le schermature non reggono; giusto è vero ma l’Europa è comunque piena di centrali nucleari, ce ne sono in Francia e in Serbia, pochi chilometri oltre i nostri confini, perciò tanto vale farne qualcuna anche qui da noi; va bene, facciamole pure, purché non in Veneto o in Lombardia o in Piemonte e Liguria eccetera, beninteso. Tonino Di Pietro lancia occhiatacce (che minacciano processi per direttissima e la Cayenna, minimo) ai nuclearisti. Questi minimizzano con sorrisetti di superiorità: basta con gli allarmismi, siamo seri. Una o due esplosioni, tre o quattro nuclei che minacciano la fusione, un po’ di radiazioni nell’aria, e che sarà mai!
Oggi il terremoto è un pretesto per regolare meschini conti tra politici politicamente periferici e metafisicamente disarmati. Ma un tempo, quando la natura si scatenava e non c’erano preghiere né strutture antisismiche in grado di contrastarne la furia, dai grandi terremoti nascevano grandi dibattiti filosofici. Nell’inverno del 1755 Lisbona fu rasa al suolo in pochi istanti da un terremoto devastante, seguito da un’onda di tsunami alta 15 metri; si piansero tra le 60 e le 90.000 vittime, più altre 10.000 nel vicino Marocco. Fu uno choc culturale per l’intera Europa e ne seguì una discussione politica e filosofica che, secondo i moderni storici della cultura, contribuì a cambiare la faccia del pianeta e a rendere popolari, per la prima volta, le tesi dell’illuminismo. È da allora che la teologia è rimasta praticamente senza seguaci (e anche un po’ senza parole). Voltaire ragionò del terremoto di Lisbona in Candido e nel Poema sul disastro di Lisbona. Anche le sue opinioni scatenarono un terremoto ideologico di cui ancora non si sono esaurite le scosse d’assestamento. Affermò che il terremoto confutava il concetto di «miglior mondo possibile» espresso dal filosofo tedesco Gottfried Leibniz. Voltaire, come avrebbe poi scritto un altro filosofo tedesco, Theodor W. Adorno, «guarì dalla teodicea di Leibniz» grazie al terremoto di Lisbona, e insieme a lui ne guarì l’intera cultura occidentale. Parteciparono al grande dibattito sul terremoto anche Jean-Jacques Rousseau e Immanuel Kant. Da questo tsunami culturale è nato il mondo come lo conosciamo.
Ma oggi, da noi, mentre in Giappone è in atto una catastrofe, si discute se costruire o no le centrali nucleari. A parlare non sono Kant o Voltaire ma Tonino Di Pietro, Nichi Vendola e i ministri nuclearisti in quota Popolo della libertà. Non ascoltiamo l’opinione dei grandi filosofi del nostro tempo (qualcuno ce n’è) ma quelli di Italo Bocchino, di Maurizio Gasparri e di Rosy Bindi.