Stefano Bucci, Corriere della Sera 15/03/2011, 15 marzo 2011
Tutte le capitali che hanno fatto l’Italia - DAL NOSTRO INVIATO VENARIA REALE (Torino) — L’avevano promesso: La bella Italia doveva essere la mostra «ammiraglia» dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità
Tutte le capitali che hanno fatto l’Italia - DAL NOSTRO INVIATO VENARIA REALE (Torino) — L’avevano promesso: La bella Italia doveva essere la mostra «ammiraglia» dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità. Quella che, insomma, più delle altre doveva raccontare il Belpaese, in particolare attraverso «l’arte e l’identità» delle sue capitali. Promessa mantenuta fin da questa anteprima (in esclusiva per il «Corriere della Sera» ): perché il curatore Antonio Paolucci, a capo di un gruppo di una quindicina di responsabili delle singole sezioni, è davvero riuscito a mettere insieme nella Citroniera della Reggia di Venaria (con la complicità di Luca Ronconi e di Margherita Palli per l’allestimento) un museo ricchissimo e unico, un vero e proprio universo teatrale fatto di muri in mattoni, con un pavimento d’erba più o meno verde (con tanto di fiori e foglie) a seconda delle stagioni. E con tanto di mare «in specchio» a ricordare il nostro destino di penisola. A questa mostra (che poi passerà a Firenze, a Palazzo Pitti, e che qui verrà sostituita da una monografica dedicata all’Autoritratto di Leonardo da Vinci della Biblioteca Reale di Torino) la Reggia di Venaria affida dunque il compito di continuare sulla buona strada che ne ha fatto — con i suoi oltre 2.700.000 ingressi in tre anni — il quinto sito artistico più visitato d’Italia. E le oltre duecentomila prenotazioni già arrivate fanno ben sperare. Sono oltre 360 i capolavori esposti: da Giotto a Michelangelo, da Rubens a Bronzino, da Canova a Velazquez, da Beato Angelico a Parmigianino suddivisi (ma solo virtualmente perché Ronconi e Palli hanno creato «uno spazio unitario e assoluto, non alterato dai limiti e dai confini storici» ) in modo «da rappresentare quelle Italie che la storia chiamò a diventare Italia» con le loro capitali culturali: Torino, Firenze, Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Parma, Modena, Napoli e Palermo. L’apertura al pubblico è fissata per giovedì 17 (fino all’ 11 settembre), mentre il presidente della Repubblica Napolitano sarà a Venaria la mattina del 19. Ieri, intanto, l’arrivo alla Citroniera di una delle opere simbolo della mostra, Il Bacio di Hayez, o meglio di una delle quattro versioni: quella (proveniente da una collezione privata) datata proprio 1861 e in cui la ragazza indossa un abito bianco che completa idealmente con il rosso e il verde degli abiti del suo innamorato, il tricolore (mentre nella versione milanese del 1859 è vestita di azzurro «in omaggio all’alleanza con la Francia» ). Un Bacio arrivato tra mille precauzioni, con tanto di scorta e scatola antiurto, trattato letteralmente con i guanti dai montatori e che potrà contare su una parete interamente dedicata, con tanto di riflesso nello specchio e di scritta che recita: «Verso l’Unità» . Questo viaggio in Italia comincia da Roma: la Roma «della leggenda, del mito, della storia» ; la Roma dell’Afrodite accovacciata simbolo della mostra, del Rubens di Romolo e Remo allattati dalla Lupa e del Satiro con grappolo d’uva dei Musei vaticani appositamente restaurato (e privato della sua foglia di fico). Ma poi c’è anche la Firenze «fondatrice della lingua e delle arti» (il Davide del Verrocchio, la strepitosa Calunnia di Botticelli, il vaso in lapislazzuli delle Botteghe Granducali); la Torino che incarna «il sogno di una capitale» (l’Inaugurazione del Parlamento di Tetar van Elven, l’Annunciazione di Orazio Gentileschi, le porcellane dipinte delle guardie di Carlo Emanuele III di Tamietti); la Genova «bellissima e ricchissima» (l’Elemosina di San Lorenzo di Bernardo Strozzi, i modellini della Strada Nuova, i testoni e le quadruple); la Bologna del «sapere» e del «classico ideale» (la Pala Baglioni di Raffaello, la Madonna del Rosario di Ludovico Carracci, l’Allegoria della Musica di Dossi). E ancora la Milano «della religiosità del Borromeo, dell’illuminismo e di Leonardo» (La Filatrice del Pitocchetto, la Discesa dello spirito del Morazzone, il ritratto di Ugo Foscolo di Fabre); la Venezia «mito del Buongoverno» (il Leone Marciano, il ritratto dell’Aretino di Tiziano e quello del procuratore Dolfin del Tiepolo); la Napoli «capitale dell’Italia meridionale» (gli Iconoclasti di Morelli, i Figli del popolo di Toma, la Veduta del Tempio di Poseidon di Joli); la Palermo della «Convivenza dei popoli» (il Gruppo di putti del Serpotta, il Reliquiario di Santa Rosalia del 1717, la Grande Saliera). Fino a Parma e a Modena viste come paradisi per principi mecenati e collezionisti (incredibile la sequenza di edizioni rarissime della Secchia rapita, della Gerusalemme Liberata, degli Annali di Muratori). Forse l’allestimento ronconiano farà discutere per la sua teatralità. Ma dal vivo non è così: le opere (siano disegni di Piranesi o la Cleopatra di Guido Reni) sembrano anzi acquisire ulteriore forza. E certo sarà intrigante sentire proprio la voce di Ronconi, regista con un passato di attore, uscire da una serie di «coni fonici» collocati lungo il percorso per declamare brani dedicati all’Italia ((da Montesquieu a Mazzini, da Ruskin a D’Azeglio, da Chateaubriand a Madame de Staël). Dunque, tutti soddisfatti? Certamente sì. Mentre Elisabetta Ballaira, curatrice delle Grandi mostre di Venaria, dichiara con ironia: «Con tutti questi capolavori, l’unico rischio è la sindrome di Stendhal» . Stefano Bucci