Gianni Santucci, Corriere della Sera 15/03/2011, 15 marzo 2011
Gli impianti del futuro progettati per «contenere» la fusione - MILANO— Fronteggiare il disastro
Gli impianti del futuro progettati per «contenere» la fusione - MILANO— Fronteggiare il disastro. Lavorare sull’ipotesi che ci sia un incidente e nessuno dei sistemi di sicurezza funzioni. È questo l’obiettivo e la sfida delle ricerche più recenti per la costruzione degli impianti nucleari. «La vera novità concettuale — spiega Carlo Lombardi, per 34 anni docente di Impianti nucleari al Politecnico di Milano e membro del Consiglio scientifico dell’Enea— è considerare l’incidente severo, quello che supera tutti i sistemi di protezione» . In questi giorni i tecnici giapponesi stanno facendo una corsa contro il tempo per raffreddare il reattore ed evitare che il combustibile, le barre di uranio del nocciolo, si fondano. Se accadrà, l’unico ed estremo argine contro la dispersione di materiale radioattivo sarà la «stanza di contenimento» che ospita il reattore (ha i muri di cemento armato spessi un metro e mezzo). Ecco, gli impianti del futuro sono progettati per affrontare l’eventualità peggiore con sistemi più avanzati oltre quel pesante muro di cemento. Due di questi impianti sono in costruzione in Europa: uno in Finlandia, l’altro in Francia. La centrale giapponese di Fukushima è in attività dal 1971 ed è uno dei primi impianti al mondo di «seconda generazione» (antecedente alla centrale di Caorso). Oggi siamo oltre la «terza generazione» . La situazione limite, la fusione che sembra stia in parte avvenendo a Fukushima, viene affrontata in due modi alternativi. Il primo è quello dell’Epr (European pressurized reactor). «Se il combustibile si fonde — spiega Lombardi — si deposita sul fondo del recipiente a pressione, lo perfora ed esce nella parte sottostante. Considerate che questo processo avviene a una temperatura di 2.700 gradi. L’idea è quella di mettere lì sotto un crogiolo, e cioè una sorta di recipiente che raccolga la massa fluida radioattiva e la distribuisca su una superficie di metallo ampia circa 200 metri quadrati, permettendo il raffreddamento del nocciolo fuso» . Ciò sarebbe necessario se i 4 sistemi di sicurezza indipendenti del reattore Epr andassero tutti fuori uso. Dovrebbe essere questo il tipo di impianto previsto per alcune delle centrali italiane. Sembra però che con il ritorno al nucleare il nostro Paese dovrebbe dotarsi di entrambe le tecnologie, anche quella dell’Ap1000 Westinghouse, su cui ora si stanno orientando gli Stati Uniti e la Cina. Pure questo secondo sistema prevede l’eventualità di un incidente severo, che verrebbe però affrontato mantenendo il combustibile fuso all’interno del proprio recipiente, evitando la perforazione. «Si prevede di allagare completamente la cavità— spiega Lombardi — con dei sistemi passivi, sostanzialmente con delle valvole che si aprono senza bisogno di elettricità» . A questo punto il recipiente con le barre di uranio fuso rimarrebbe immerso in una sorta di piscina. L’acqua bollirebbe pian piano e sarebbe di continuo reintegrata attraverso enormi serbatoi per arrivare al raffreddamento (il traguardo che ora, nella centrale giapponese, stanno cercando di ottenere con vecchi sistemi ed enormi difficoltà). «È questo l’elemento concettualmente davvero innovativo— aggiunge l’ingegnere nucleare —, mantenere l’eventuale fusione dentro quel guscio d’acciaio, spesso oltre 20 centimetri, raffreddandolo dall’esterno» . L’incidente di Fukushima, proprio per l’anzianità dell’impianto che ha più di 40 anni, non ha molto da «insegnare» ai progettisti di oggi. Quelle tecnologie sono state più che superate da anni. «Ma nonostante questo — conclude Lombardi — quegli impianti hanno resistito a uno dei terremoti più devastanti della storia. Semmai in Europa c’è un altro problema, manca un’agenzia per la sicurezza nucleare unificata. Non che questo implichi un abbassamento degli standard, ma di certo un approccio unitario europeo sarebbe auspicabile» . Gianni Santucci