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 2011  marzo 15 Martedì calendario

La grande fuga disperata dalla nube di Fukushima - DAL NOSTRO INVIATO FUKUSHIMA — Cinquecento uomini, donne e bambini in trappola, bloccati da un muro invisibile, chiusi nelle loro case nella fascia più rischiosa per le radiazioni, i venti chilometri alle spalle dell’impianto nucleare di Fukushima I

La grande fuga disperata dalla nube di Fukushima - DAL NOSTRO INVIATO FUKUSHIMA — Cinquecento uomini, donne e bambini in trappola, bloccati da un muro invisibile, chiusi nelle loro case nella fascia più rischiosa per le radiazioni, i venti chilometri alle spalle dell’impianto nucleare di Fukushima I. Hanno sentito la forza terrificante del terremoto, hanno visto l’acqua arrivare dal mare aperto minacciosa come un killer, hanno guardato la catastrofe passare sotto le loro finestre. Ma non era che l’inizio. Non avevano messo in conto l’emergenza atomica, l’esposizione alle radiazioni, appunto, la paura di dover fronteggiare un male impalpabile e silenzioso. E adesso eccola qui, quella sensazione spaventosa che non ti fa sentire al sicuro, forse mai più. I cinquecento la sentono sulla pelle, sui vestiti, in quel che mangiano, nell’aria che respirano... più di tutti quanti gli altri. Gli irriducibili Cinquecento è una stima degli amministratori locali, potrebbero essere anche di più. Parliamo di persone che non hanno voluto abbandonare le case perché credevano che passata l’onda anomala fosse finito tutto, o magari perché vivono non vicinissimi alla costa e si sono sentiti salvi oppure perché cercano familiari dispersi nelle case vicino al mare. Gente che ha vissuto tutti questi giorni con gli occhi incollati alla tivù, con le orecchie attente a megafoni lontani. Il consiglio sempre quello: «Chi vive nella zona della centrale e non ha necessità di uscire rimanga a casa il più a lungo possibile» . Poteva funzionare per la prima esplosione, sabato. Ma adesso il risultato è una situazione paradossale: i cinquecento sono tutti nelle loro case, diventate rifugio e gabbia, con il terrore delle radiazioni che possono crescere, con l’incubo delle esplosioni continue, con il nocciolo del reattore 2 che può fondersi e chissà cos’altro. Ora: il mondo è concentrato sull’emergenza atomica, i soccorritori sono a caccia di sopravvissuti in difficoltà o assistono feriti, presunti contaminati e gente che deve essere trasportata, i volontari muovono macerie, distribuiscono coperte, cibo, medicine. E loro? Per quanto ancora saranno «prigionieri» ? La fuga con le bambine «Io sono scappata via da lì già sabato» racconta Masako, una giovane madre che vive fra i 15 e i 20 chilometri dalla centrale e che ieri mattina ha cercato inutilmente di prendere un volo dall’aeroporto Sukagawa di Fukushima a Osaka, dove vivono degli amici disposti a ospitarla per un po’. «So per certo che qualcuno è rimasto a casa anche dopo l’allarme radioattivo — dice —, io ho mollato tutto e mi sono trasferita a Koryama. Ho paura delle radiazioni, per me e per loro» , indica due bambine che avranno tre-quattro anni al massimo. C’è la signorina della compagnia aerea che chiede un momento di attenzione, una folla di mamme, passeggini e biberon in bivacco davanti alle scale si avvicina al banco della compagnia e ascolta l’annuncio. Masako torna sconsolata: non è fra le fortunate in lista d’attesa per Osaka. La grande fuga dalla regione contaminata è tutta nelle lunghe code di auto in direzione dell’aeroporto Sukagawa e negli accampamenti di fortuna al primo piano dello scalo. Qualcuno distribuisce coperte e cibo, facce stanche vanno e vengono in file ordinate e opposte, come formichine. E sulla pista, oltre il vetro, è un continuo decollare di elicotteri militari. «All’inizio mi sono detto "saranno i giornali e le televisioni a esagerare"» , spiega un ragazzo di nome Yutaka, abbarbicato alla sua fidanzata davanti al settore imbarchi. «Ma ogni giorno va peggio, non ci credo più che siamo tutti fuori pericolo e vado in vacanza per un bel po’ di giorni. Meglio stare lontano dalle radiazioni...» . Inutile chiedere aiuto a tassisti e autisti per cambiare aria, nemmeno con un’offerta extra tassametro che in altri tempi non avrebbe temuto rifiuto: non si accettano corse lunghe, punto e basta. «Soltanto pochi chilometri— è la risposta ripetuta come una litania — perché non c’è benzina e forse non ce ne sarà nei prossimi giorni, non voglio rischiare di rimanere a piedi» . Le code alle stazioni di servizio di Fukushima (ma anche più a nord, da Sendai a Miyako) crescono con la paura di nuove esplosioni alla centrale nucleare e con l’idea che «è bene avere a casa un po’ di benzina di riserva. Non si sa mai» , come racconta per tutti l’impiegato Masao Watanabe mentre armeggia con un paio di taniche rosse nel bagagliaio. «Noi siamo più preparati di voi europei alle emergenze— assicura —, ma stavolta è diverso» . Stavolta c’è il rischio atomico che atterrisce, che rende tutti più vulnerabili. E visto da Fukushima quel rischio sembra un essere mostruoso in agguato dietro l’angolo. «E se scoppiasse tutto davvero?» . «Dobbiamo scappare da qui?» . Gli scenari raccontati alla tv «Che succede quando esplode il nocciolo?» . Gruppi di persone sconosciute si trovano davanti agli schermi tivù di bar, alberghi, distributori. Si scambiano domande alle quali nessuno con un paio di taniche rosse nel bagagliaio. «Noi siamo più preparati di voi europei alle emergenze— assicura —, ma stavolta è diverso» . Stavolta c’è il rischio atomico che atterrisce, che rende tutti più vulnerabili. E visto da Fukushima quel rischio sembra un essere mostruoso in agguato dietro l’angolo. «E se scoppiasse tutto davvero?» . «Dobbiamo scappare da qui?» . Gli scenari raccontati alla tv «Che succede quando esplode il nocciolo?» . Gruppi di persone sconosciute si trovano davanti agli schermi tivù di bar, alberghi, distributori. Si scambiano domande alle quali nessuno . . sa rispondere, spesso nemmeno gli esperti in studio. Sono incantati da immagini e commenti sul disastro nazionale, quali che siano. Ieri è toccato alle barre di combustibile del reattore n ° 2 mostrate mentre facevano il loro dovere in un liquido dai riflessi azzurri, molti mesi fa. La voce fuori campo diceva che la situazione è grave, che il rischio di una fuoriuscita di materiale altamente radioattivo è «purtroppo reale» e che Tokyo ha chiesto aiuto agli Stati Uniti per uscire da questa crisi senza precedenti. Alla fine del servizio, il gelo. Non una parola, né più domande come all’inizio o un commento per sdrammatizzare. Il gruppo degli sconosciuti si scioglie così come si era formato e ciascuno si allontana per conto sa rispondere, spesso nemmeno gli esperti in studio. Sono incantati da immagini e commenti sul disastro nazionale, quali che siano. Ieri è toccato alle barre di combustibile del reattore n ° 2 mostrate mentre facevano il loro dovere in un liquido dai riflessi azzurri, molti mesi fa. La voce fuori campo diceva che la situazione è grave, che il rischio di una fuoriuscita di materiale altamente radioattivo è «purtroppo reale» e che Tokyo ha chiesto aiuto agli Stati Uniti per uscire da questa crisi senza precedenti. Alla fine del servizio, il gelo. Non una parola, né più domande come all’inizio o un commento per sdrammatizzare. Il gruppo degli sconosciuti si scioglie così come si era formato e ciascuno si allontana per conto proprio, a testa bassa. Salvare il salvabile è una specie di scommessa, a questo punto. Una corsa contro il tempo che in molti danno già per perduta. La possibilità di dover rimanere a casa a lungo per non esporsi alla radioattività fa crescere la paura di non avere abbastanza riserve alimentari e per di più la mancanza di connessioni stradali e ferroviarie fra la zona del disastro e il resto del Paese rende difficili gli arrivi delle normali derrate alimentari. Così davanti a qualche supermercato fra Koryama e Fukushima si cominciano a vedere le file di persone, soprattutto donne, che fanno scorte fuori misura per fronteggiare un’eventuale emergenza più emergenza di adesso. Il tormento delle scosse Tutto questo mentre le scosse di assestamento sono un tormento continuo, in alcuni casi vanno oltre i 5-6 gradi della scala Richter e scuotono edifici già compromessi che stanno in piedi per sbaglio. «Praticamente è come vivere dondolando» , tenta di spiegare al telefono il soldato Takeshi a chissà quale amico lontano da qui. «Basta non pensarci sennò ti viene voglia di scappare» . File lunghissime di ragazzi come lui, in mimetica su mezzi militari, si contendono le poche strade agibili con i vigili del fuoco e i loro camion rossi o i minivan affittati dai gruppi di soccorso delle organizzazioni proprio, a testa bassa. Salvare il salvabile è una specie di scommessa, a questo punto. Una corsa contro il tempo che in molti danno già per perduta. La possibilità di dover rimanere a casa a lungo per non esporsi alla radioattività fa crescere la paura di non avere abbastanza riserve alimentari e per di più la mancanza di connessioni stradali e ferroviarie fra la zona del disastro e il resto del Paese rende difficili gli arrivi delle normali derrate alimentari. Così davanti a qualche supermercato fra Koryama e Fukushima si cominciano a vedere le file di persone, soprattutto donne, che fanno scorte fuori misura per fronteggiare un’eventuale emergenza più emergenza di adesso. Il tormento delle scosse Tutto questo mentre le scosse di assestamento sono un tormento continuo, in alcuni casi vanno oltre i 5-6 gradi della scala Richter e scuotono edifici già compromessi che stanno in piedi per sbaglio. «Praticamente è come vivere dondolando» , tenta di spiegare al telefono il soldato Takeshi a chissà quale amico lontano da qui. «Basta non pensarci sennò ti viene voglia di scappare» . File lunghissime di ragazzi come lui, in mimetica su mezzi militari, si contendono le poche strade agibili con i vigili del fuoco e i loro camion rossi o i minivan affittati dai gruppi di soccorso delle organizzazioni non governative. Gli sfollati arrivano con le facce smarrite, tutt’al più con un sacchetto fra le mani e nient’altro. «È già tanto aver salvato la pelle, questo è tutto quello che ho e va bene così» dice Ken Endo, un vecchio arrivato a Fukushima con un gruppo di soccorritori coreani e che ora cerca di andare verso sud, da un parente e, soprattutto, lontano dal veleno nucleare. Si mette in coda per ricevere la solita coperta giallo-arancio e un pugno di riso cotto, passerà la notte in uno dei centri di accoglienza e domani si vedrà. Per adesso guarda il cielo un po’ nuvoloso e ormai quasi buio. Quando la notte scende sulla centrale di Fukushima e sul Giappone le televisioni mostrano un’altra immagine sensazionale di questo drammatico spettacolo mondiale: le zone buie del blackout annunciato dal governo per far fronte alle ridotte risorse di energia elettrica. Si vede il centro di Tokyo con mille luci infilate l’una accanto all’altra come perle. E si vede tutt’attorno una distesa immensa di buio interrotta soltanto da qualche lucina qua e là. Ken il vecchio fa in tempo a dare un’occhiata a quell’immagine che sembra un cielo con poche stelle caduto attorno al centro della capitale. «Certo — suggerisce a uno dei ragazzi che lo ha portato fin qui — fossi in te scapperei il più lontano possibile» . Giusi Fasano © RIPRODUZIONE RISERVATA non governative. Gli sfollati arrivano con le facce smarrite, tutt’al più con un sacchetto fra le mani e nient’altro. «È già tanto aver salvato la pelle, questo è tutto quello che ho e va bene così» dice Ken Endo, un vecchio arrivato a Fukushima con un gruppo di soccorritori coreani e che ora cerca di andare verso sud, da un parente e, soprattutto, lontano dal veleno nucleare. Si mette in coda per ricevere la solita coperta giallo-arancio e un pugno di riso cotto, passerà la notte in uno dei centri di accoglienza e domani si vedrà. Per adesso guarda il cielo un po’ nuvoloso e ormai quasi buio. Quando la notte scende sulla centrale di Fukushima e sul Giappone le televisioni mostrano un’altra immagine sensazionale di questo drammatico spettacolo mondiale: le zone buie del blackout annunciato dal governo per far fronte alle ridotte risorse di energia elettrica. Si vede il centro di Tokyo con mille luci infilate l’una accanto all’altra come perle. E si vede tutt’attorno una distesa immensa di buio interrotta soltanto da qualche lucina qua e là. Ken il vecchio fa in tempo a dare un’occhiata a quell’immagine che sembra un cielo con poche stelle caduto attorno al centro della capitale. «Certo — suggerisce a uno dei ragazzi che lo ha portato fin qui — fossi in te scapperei il più lontano possibile» .Giusi Fasano