Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 15/3/2011, 15 marzo 2011
RIBASSI IN VISTA PER L’URANIO
La catastrofe che ha colpito il Giappone potrebbe modificare a lungo le dinamiche sui mercati dell’energia. Il rischio di un disastro nucleare, contro cui il paese sta combattendo, avrà le sue ripercussioni più dirette sull’uranio. Le quotazioni sul mercato spot – poco significative per gli acquirenti, che normalmente si approvvigionano con contratti pluriennali – vengono rilevate settimanalmente da società di consulenza come la Uxc e la reazione agli ultimi eventi non è ancora visibile: l’ossido di uranio , che era salito del 76% in sei mesi fino a un picco di 73 $/libbra in febbraio, quotava martedì scorso 66,50 $/lb. È facile comunque immaginare che il prezzo calerà ancora. Ieri i titoli delle minerarie impegnate nell’estrazione del metallo sono crollati: la canadese Cameco, che vende il 10-15% del suo uranio al Giappone ha perso oltre il 20% a Toronto, così come la connazionale Uranium One. A Sydney ci sono stati ribassi superiori al 10% per Energy Resources of Australia (controllata da Rio Tinto).
In parte si è trattato di una reazione emotiva. Tuttavia, la marcia indietro sul nucleare già annunciata dalla Germania e dalla Svizzera prelude probabilmente a un più ampio ripensamento su una fonte di energia che sembrava sul punto di vivere un nuovo rinascimento. Senza contare il fatto che gli acquisti giapponesi sono indubbiamente destinati a ridursi: Tokyo ha chiuso 11 reattori su 54, il cui fabbisogno di uranio corrisponde al 2-3% della domanda globale. Gli analisti, pur concordando su una probabile contrazione dei consumi, tendono tuttavia ad escludere che questa assuma dimensioni importanti, almeno finché la Cina manterrà fermo il proposito di triplicare entro il 2020 la capacità nucleare installata, passando da 10,8 ad almeno 35 Gigawatt. Il vice-ministro dell’Ambiente Zhang Lijun è stato già molto chiaro in proposito: «La Cina non cambierà la sua determinazione a sviluppare la potenza nucleare».
Quanto agli altri combustibili, le prime stime indicano che il calo dei consumi petroliferi giapponesi – legato soprattutto al blocco delle raffinerie – non durerà a lungo. Basandosi sull’esperienza del 2007, quando un altro terremoto costrinse a chiudere per mesi l’impianto nucleare di Kashiwazaki, Barclays Capital prevede che il Giappone – solo per sostituire i 12mila Megawatt delle tre centrali ferme – dovrà aggiungere alla "lista della spesa" quotidiana 7.800 tonnellate di carbone, 143mila barili di olio combustibile, altri 67mila di petrolio e circa 226 milioni di metri cubi di Gas naturale liquefatto.