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 2011  marzo 15 Martedì calendario

L’INCUBO DELL’EFFETTO FUKUSHIMA

Non sappiamo ancora come si evolverà l’emergenza dei reattori nucleari giapponesi messi in crisi da terremoto e tsunami. L’«effetto Fukushima» però è già in atto.
In Germania Angela Merkel, che aveva deciso di prolungare di almeno dieci anni la vita di 17 vecchi impianti tedeschi, sta tornando sui suoi passi. Ci saranno tre mesi di riflessione ma l’orientamento è verso una chiusura immediata, atto che porterebbe Berlino all’uscita dal nucleare.
In Svizzera il governo federale sospenderà la procedura per autorizzare tre nuove centrali: solo dopo una radicale revisione dei sistemi di sicurezza il progetto potrà andare avanti. Un blocco del nucleare si profila in Belgio e in Polonia. La Polonia si trascinerebbe dietro Paesi che come Slovacchia e Repubblica Cèca avevano puntato sull’opzione nucleare per conquistare autonomia energetica. Persino in Francia, dove sono in funzione 59 reattori e l’80 per cento dell’elettricità è di origine nucleare, serpeggiano dubbi e imbarazzo, mentre il movimento ecologista reclama il referendum sull’atomo. Quanto all’Unione Europea nel suo insieme - ha comunicato il commissario all’energia Gunther Oettinger - intende riesaminare gli standard di sicurezza.

Nel mondo sono in funzione 450 reattori che complessivamente forniscono il 14 per cento dell’elettricità consumata globalmente. Molti sono di vecchia generazione. Da vent’anni la costruzione di nuovi impianti segnava il passo. Solo di recente era iniziata una inversione di tendenza, dovuta soprattutto alla decisa scelta nucleare compiuta dalla Cina e dall’India. Ora tutto ciò è messo in discussione.

La logica di una retromarcia così generalizzata è ben comprensibile. Il Giappone ha una forte cultura antisismica, e infatti la grande edilizia civile ha sopportato persino la scossa devastante di un terremoto di magnitudo 9 (altro discorso vale, naturalmente, per le piccole case vicine alla costa spazzate via dallo tsunami). Il Giappone ha anche una solida cultura nucleare: metà dell’energia di questa che è la terza potenza economica mondiale viene dall’atomo. In più il Paese è, per così dire, vaccinato dalla tragedia delle bombe che nell’agosto 1945 distrussero Hiroshima e Nagasaki. L’esperienza di quegli orrori bellici e delle loro conseguenze ha accentuato l’attenzione al problema delle radiazioni e della sicurezza nel nucleare civile.

Nonostante ciò, siamo qui con il fiato sospeso a seguire gli sviluppi di incidenti gravissimi ai reattori di Fukushima, due dei quali già semidistrutti da esplosioni dovute all’accumulo di idrogeno. La situazione è così difficile che per raffreddare il nocciolo dei reattori si sta pompando acqua di mare. E’ una soluzione che indica la gravità di quanto sta accadendo: poiché è salata, l’acqua marina danneggerà gli impianti in modo tale da renderli irrecuperabili. Ma anche così non è detto che si riesca a evitare la fusione del nocciolo dei reattori. Un incidente ora classificato di livello 4 balzerebbe quindi al livello 7, il più grave ipotizzabile, quello toccato dal reattore di Cernobil.

Se il Giappone con tutta la sua tecnologia antisismica e la sua esperienza nucleare si trova di fronte a questa emergenza – è il ragionamento che molti cittadini e decisori politici stanno facendo – come si può ancora sostenere che le centrali nucleari sono sicure? Ed ecco che l’«effetto Fukushima» si potrebbe tradurre in un nuovo e forse definitivo stop all’atomo. Ogni ragionamento è naturalmente legato ai tentativi in atto per bloccare la fusione dei noccioli dei reattori, il successo o meno di questi sforzi segnerà il corso della storia.

In Italia i ministri Prestigiacomo e Alfano hanno già detto che si va avanti: mai cambiare linea sull’onda dell’emotività. L’impressione però è che i ripensamenti di Germania, Svizzera, Belgio, Polonia e altri Paesi avvengano proprio sull’onda della razionalità. Gli eventi giapponesi sono chiari nel loro messaggio. D’altra parte, anche da un punto di vista pragmatico, se fino a ieri era difficile collocare centrali nucleari in Italia non tanto perché gran parte del territorio è inadatta a causa della sismicità e della scarsità di acqua per il raffreddamento, quanto piuttosto perché ci si scontra con l’ostilità delle popolazioni, ora costruire il consenso sembra davvero una missione impossibile.

Certo, le centrali di Fukushima hanno la loro età e i quattro reattori Epr (European pressurized reactor) acquistati chiavi in mano da Berlusconi al mercato di Sarkozy dispongono di qualche precauzione in più (un ulteriore edificio di contenimento, un «pavimento» che dovrebbe limitare i danni dell’eventuale fusione del nocciolo, una minor produzione di scorie radioattive). Ma nella sostanza gli Epr sono ancora reattori convenzionali, e solo presentando all’opinione pubblica una generazione di reattori del tutto innovativa si potrebbe forse rimontare quell’«effetto Fukushima» che in questo momento sembra prevalente.

Se poi si aggiunge che queste quattro centrali produrrebbero solo il sei per cento del nostro fabbisogno elettrico, e non domani ma tra dieci anni, lo sviluppo nucleare, in parte condiviso anche da settori dell’opposizione, in queste ore sembra avere poche speranze.