Maurizio Ricci, la Repubblica 15/3/2011, 15 marzo 2011
ADDIO FAME, ABBIAMO CIBO PER 9 MILIARDI DI PERSONE
È il simbolo intellettuale del pessimismo. È anche l´economista che deve la sua vasta popolarità al fatto di essersi sbagliato: da quando, due secoli fa, Thomas Malthus dichiarò che l´uomo non sarebbe riuscito a sfamare una popolazione sempre crescente, la previsione è stata regolarmente smentita. Eppure, il suo fantasma continua a ripresentarsi. Anche oggi. Probabilmente, sarà smentito anche questa volta. Però, non è facile vedere come. In un mondo, apparentemente, sempre più prospero, si torna, infatti, a parlare di "crisi del cibo", a soli tre anni di distanza dalla precedente, quella del 2008, che vide la gente scendere in strada, ai quattro angoli della Terra, a reclamare tortillas o ciotole di riso. I prezzi toccano livelli record, i magazzini si assottigliano, i nuovi raccolti sono in dubbio. Allunghiamo lo sguardo ed ecco l´ombra di Malthus.
Nel 2050, saremo sulla Terra in 9 miliardi, due più di oggi. Aggiungiamoci il miliardo che, già oggi, non riusciamo a sfamare e ci troviamo con il problema di apparecchiare la tavola per tre miliardi di persone che, attualmente, sono fuori dalla porta o ancora non sono arrivati. Le avete, chiederebbe Malthus, le risorse per riempire la pancia a tutti? Sulla base dell´esperienza storica, caro Malthus, la risposta è sì. Lo abbiamo appena dimostrato. Da qui al 2050, la popolazione aumenterà un po´ più del 30%. Per farla mangiare, occorre che la produzione di riso, grano, mais aumenti del 50%. Sembrano numeri enormi. Però, dal 1970 al 2010, la popolazione è aumentata dell´80%. E la produzione agricola del 250%. Ma siete in grado, potrebbe chiedere ancora Malthus, di ripetere il miracolo? E la risposta è: forse no. Manca la terra, manca l´acqua e il trucco che ha funzionato in questi anni si è esaurito.
La via più immediata per aumentare la produzione agricola è allargare le terre messe a coltura. Il problema è che quelle disponibili sono sempre di meno. Su 4 miliardi di ettari potenzialmente arabili, sottolinea ActionAid, una Ong internazionale, più della metà sono compromessi da erosione, desertificazione e inarrestabile sviluppo delle città. Inoltre, la terra che coltiviamo è anche sempre meno dedicata alla produzione di cibo. Il 40% del mais degli Stati Uniti è dirottato alla produzione di biocombustibili. La Fao ritiene che se Usa, Europa, Giappone Brasile raggiungessero gli obiettivi che si sono fissati per la produzione di biocarburanti, sequestrerebbero per i serbatoi delle auto un decimo dei cereali del mondo.
La situazione dell´acqua è anche peggiore. Inutile sperare troppo nelle piogge. Secondo l´Onu, il riscaldamento climatico colpirà nei prossimi anni, metà della agricoltura africana e un terzo di quella dell´Asia centrale e meridionale. I vantaggi che il riscaldamento porterà ai campi, più a Nord, non saranno sufficienti a colmare il buco. E l´irrigazione diventerà ancora più problematica. Già oggi consumiamo più acqua di quanta ne raccolgano le falde. In Occidente, la disponibilità di acqua è diminuita del 40%. Nei paesi in via di sviluppo, del 60-70%.
Infine, la leva che ha fatto scattare il boom agricolo degli ultimi decenni, la "rivoluzione verde", ha già dato il suo massimo. Il succo della rivoluzione era la selezione di semi che consentissero a più piante di crescere nello stesso spazio e di concentrare la crescita nelle spighe. In un caso e nell´altro, si è, probabilmente, arrivati al limite massimo: più di 90 mila piante in un ettaro di granturco, forse, non ne entrano davvero. Il risultato è che i rendimenti dell´agricoltura mondiale (cioè il rapporto fra i semi piantati e quelli raccolti) sono rallentati di colpo. Crescevano del 3% l´anno, nella seconda metà del secolo scorso. Oggi, i rendimenti per riso, frumento e granturco salgono fra lo 0,5 e l´1% l´anno. Troppo poco. Per far fronte ad un aumento previsto della popolazione mondiale dell´1,2% l´anno, dovrebbero crescere almeno dell´1,5%. Ma, allora, se non si può aumentare la produzione agricola, allargando la terra coltivata e neanche aumentando la resa di quella già coltivata, come se ne esce, per smentire, ancora una volta, Malthus?
Le strade sono due e non sorprenderanno nessuno. La prima è quella, tradizionale, del progresso, della tecnologia e dell´industrializzazione: è la ricetta dell´agribusiness. La seconda è quella dell´agricoltura organica e sostenibile: meno fertilizzanti, meno irrigazione. Recenti rapporti Onu sostengono che l´agricoltura sostenibile è in grado di sfamare il mondo, quanto quella industriale e, in più, contribuisce alla lotta contro l´effetto serra. Molte battaglie ideologiche dei prossimi anni saranno combattute su questo terreno. Gli interessi economici in ballo sono enormi. I punti di attacco sono gli stessi per i due fronti: come avere piante migliori e come risolvere il problema della carne.
La chiave della nuova tecnologia agricola è la genetica. Non necessariamente, però, quella degli Ogm, gli organismi geneticamente modificati, che conosciamo, i cosiddetti "transgenici", dove un gene viene inserito in una pianta, per renderla resistente ad un certo tipo di erbicida. Molti esperti dubitano che l´aumento di rendimenti, che questo determina, si prolunghi davvero al di là del boom iniziale. E, inoltre, la resistenza agli erbicidi è solo un lato del problema. Già oggi, le battaglie più importanti fra industrie ed ecologisti riguardano, più dei transgenici, i brevetti sui "marker" genetici. L´orizzonte della genetica agricola è, infatti, lo sfruttamento della decodificazione del genoma. In altre parole, la rapida individuazione di geni che forniscono a particolari piante caratteristiche desiderate, adatte alle nuove situazioni climatiche, come la tolleranza all´umidità o alla siccità. Si tratta di accelerare, in poche giornate di laboratorio, quello che era il lungo e faticoso lavoro di innesti e selezione, che l´agricoltura pratica tradizionalmente. Ma, spesso, la genetica consente anche di rintracciare rapidamente piante già esistenti, con quelle caratteristiche. Nelle scorse settimane, l´Ufficio europeo dei brevetti ha dato il via libera ad una multinazionale americana per il brevetto di un pomodoro con meno semi, anche se l´intervento genetico non c´è stato e il pomodoro è stato ottenuto con i metodi tradizionali. Potenzialmente, tutto diventa brevettabile. In India, esistono 600 tipi naturali di riso, con tolleranze diverse all´umidità o alla siccità. Un riso che abbia bisogno di meno acqua è, quasi certamente, il riso del futuro. Metterci sopra un brevetto è come avere una macchina per far soldi.
Il problema della carne è importante, perché l´aumento vorticoso della domanda mondiale di bistecche e polpette spinge ad allargare lo spazio agricolo destinato all´allevamento - a volte a danno della produzione di cereali - e, contemporaneamente, a destinare a mangime cibi, come soia e granturco, utili anche per l´alimentazione umana. Molti sostengono che l´allargamento dei metodi intensivi, praticati nei paesi industrializzati (polli in batteria, vitelli chiusi nelle stalle), ai paesi emergenti aumenterebbe la loro produzione locale, consentendo di assorbire il loro aumento di domanda. Secondo uno studioso britannico, Simon Fairlie, è, invece, un rimedio peggiore del male. Nei paesi emergenti, i bovini si alimentano, oggi, su terreni marginali, non adatti all´agricoltura e non incidono sul bilancio dei cereali. Questo avviene, invece, nei paesi industrializzati, dove ai bovini, negli allevamenti intensivi, vengono forniti cereali che potrebbero essere consumati dall´uomo. Complessivamente, 760 milioni di tonnellate di cereali, secondo ActionAid, finiscono ogni anno nelle mangiatoie. È un terzo della produzione mondiale. Riportare quelle tonnellate a tavola, alleggerirebbe il futuro problema della fame mondiale. Certo, riconosce Fairlie, smantellare gli allevamenti intensivi significherebbe meno carne in circolazione. In Occidente, la metà di quanta ce ne sia oggi. Considerando che, secondo il parere della rivista britannica The Lancet, 90 grammi al giorno (circa una polpetta e mezza) bastano per una dieta equilibrata, forse non è un gran male. E, magari, le vacche sono più contente.