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 2011  marzo 15 Martedì calendario

Wagner Wolfgang

• Bayreuth (Germania) 30 agosto 1919, 21 marzo 2010. Nipote di Richard. Per 57 anni direttore del Festival di Bayreuth • «[...] nato [...] da Siegfried, unico maschio di Richard e dalla sua moglie inglese e nazista, Winifred. È lei che, dopo la morte dello sbiadito Siegfried nel ‘30, diventa l’anima del Festival. Un’anima nerissima: tessera numero 29349 della Nsdap, il partito nazionalsocialista. Anche dopo la sconfitta e la condanna davanti al tribunale di denazificazione, insiste a riferirsi al Führer come “USA” acronimo di “Unser seliger Adolf”, il nostro caro Adolfo. Mai pentita. “Hitler? Così affascinante”, dichiara nel ‘45 a Klaus Mann, figlio di Thomas e giornalista al seguito degli occupanti americani. Quella dei Wagner è sempre stata una famiglia complicata, piena di odii, rivalità, complessi: rispetto a loro, i Buddenbrook sembrano i Cesaroni. Wolfgang è il terzo figlio della coppia Siegfried-Winifred. Prima nascono Wieland e Friedelind, l’eretica che scappa negli Stati Uniti dove s’innamora di Toscanini e fa propaganda contro il Terzo Reich. Quando scoppia la guerra, Wieland non è richiamato: si tratta, ordina Hitler, di “preservare il prezioso sangue dei Wagner”. Wolfgang invece viene arruolato e gravemente ferito durante l’invasione della Polonia: “Il mio braccio era quasi staccato dal corpo - racconterà -. Pensavo che me l’avrebbero amputato”. Invece non solo guarisce, ma vivrà fino a novant’anni. La Germania è all’anno zero, ma il Festival non muore. Riapre nel ’51, guidato dai fratelli già coltelli Wieland e Wolfgang, che sono riusciti a conservarne il controllo alla famiglia, secondo una curiosa formula per cui i fondi sono pubblici e la gestione privata. Il genio è Wieland. È lui che capisce che bisogna rinnovare anche gli spettacoli: si sbarazza di tutto il trovarobato runico degli elmi con le corna e inventa un Wagner minimalista e astratto. Wolfgang è il secondo, non solo per nascita. Condannati a convivere, i due fratelli si detestano: arriveranno a vietare ai figli di giocare con quelli dell’altro. Colpo di scena nel ’66: Wieland muore, Wolfgang regna da solo. Come regista, non ha il genio del fratello, di cui ripete stancamente i moduli. Però sa capire il genio degli altri. Il suo capolavoro, nel ’76, è affidare il Ring del centenario a Patrice Chéreau. Questo Wagner “in borghese” suscita polemiche e proteste furibonde ma, nell’80, l’ultima Götterdämmerung è accolta da 40 minuti di applausi. Oggi tutti, a parte forse qualche critico italiano, considerano quella la più importante produzione d’opera del Dopoguerra. Insomma, con Wolfgang Bayreuth è discussa, come tutto ciò che si chiama Wagner, ma resta anche l’appuntamento musicale più prestigioso del mondo, per il quale i biglietti si aspettano dieci anni. Wolfgang vieta alla mamma terribile di parlare di politica e affronta anche le imbarazzanti rivelazioni sull’omosessualità di papà Siegfried, di cui riemergono le ardenti lettere d’amore ad autisti e giardinieri. Dietro la bonomia “spiessbürgerlich”, piccolo borghese, e le frasi in dialetto francone, però, c’è una personalità forte. Wolfgang liquida il figlio maschio Gottfried, che fa domande imbarazzanti sugli ebrei e vorrebbe aprire gli archivi di famiglia: viene bandito da Bayreuth ed escluso dalla successione. Poi divorzia dalla prima moglie (che gli ha dato anche Eva) e sposa la tosta segretaria Gudrun, dalla quale avrà, a 59 anni (tutti i Wagner si riproducono fino a tardi) la prediletta Katharina. Il problema della successione si fa pressante. Due le ipotesi: o Nike, terzogenita di Wieland, o le sorellastre Eva e Katharina, già in rotta e ora amicissime. Wolfgang incorona loro, poi annuncia: lascio. Ultimo atto il 28 agosto 2008, dopo il Parsifal di Stefan Herheim, che legge l’opera come autobiografia della Nazione e cita in scena proprio il messaggio con cui W&W avevano riaperto Bayreuth impegnandosi a fare arte e non propaganda. Quella sera io c’ero: si aprì il sipario e in mezzo ai “suoi” artisti comparve Wolfgang, in poltrona, un po’ rattrappito nello smoking, il bastone in mano. Acclamato dai fedelissimi del Nonno, il Nipote si alzò a fatica e s’inchinò sorridendo: tutto sommato, un’uscita di scena di gran classe» (Alberto Mattioli, “La Stampa” 23/3/2010).