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 2011  marzo 14 Lunedì calendario

EDDY MERCKX LE MIE SANREMO

Poi, all´improvviso, l´orizzonte diventava tutto blu. «Il mare ti riempiva gli occhi dopo quel freddo, dopo mesi e mesi di corse sotto le nuvole, perché io non smettevo mai neanche d´inverno. Vedevi il mare, e il sole della Riviera. Li vedevi, però mica potevi guardarli. Non dovevi distrarti. C´era da vincere la Milano-Sanremo».
Adesso che è una leggenda in calzamaglia, Eddy Merckx non è solo il guscio di se stesso e della propria gloria. E non è nemmeno un contenitore di ricordi. E´ un corridore ciclista, ancora e sempre. Vive a Bruxelles e sverna a Montecarlo, come in questi giorni strani, quando l´aria già odora di corse, in quest´attesa tiepida e inquieta. Niente di meglio, allora, che infilarsi appunto calzamaglia e tuta tecnica, mica la palandrana infeltrita del tempo che fu. Anche se magari piove, sono giorni giusti per prendere la bici e avviarsi verso est, passare lentamente la frontiera che pure non esiste più, scivolando lungo l´Aurelia per raggiungere, infine, il lungomare di Sanremo. «In senso contrario, però, rispetto ai vecchi traguardi in via Roma». E, ancora, arrampicarsi verso il Poggio. «Adesso salgo col mio passo, senza fretta, guardo i fiori e il paesaggio, tutto quello che da giovane mi sono perso. E´ questo il vantaggio di essere diventato un Merckx che va piano».
Eddy ha 66 anni, un corpaccione pesante ma la stessa faccia da bambino paffuto, gli identici tratti vagamente da indio. Il più forte corridore di tutti i tempi. Sette volte primo a Sanremo, la corsa che sabato, nella data canonica del 19 marzo, inaugura la stagione delle grandi classiche. Merckx la vinse al debutto nel �66. «Non avevo ancora compiuto ventun anni. Tutte e sette sono state belle, bellissime, però la prima è unica». Il mondo non aveva ancora imparato a conoscere il ragazzo belga, un mostro assoluto per potenza, fame, intuito, classe lucente come le cromature della bicicletta. Il futuro Cannibale. «Andai in fuga sul Capo Berta con Poulidor, ci ripresero sul Poggio e si arrivò in volata. Io non ero un velocista, ma dopo trecento chilometri diventava difficile battermi. Infatti vinsi quello sprint contro Van Springel e Dancelli». Anche se l´impresa più notevole, dice Merckx, resta la seconda, un anno dopo, nel ´67: «Ancora in fuga sul Berta, stavolta con Motta. A un chilometro dal traguardo ci riprendono Gimondi e Bitossi, ma io li batto tutti in volata».
E´ come una tabellina, l´albo d´oro di Merckx a Sanremo: sette trionfi in dieci edizioni, ´66 e ´67, ´69 e ´71, ´72 e ´75, l´ultima nel ´76, due anni prima del ritiro. «Anche se in totale ne disputai appena dieci, qualche volta ero malato, oppure avevo il ginocchio malmesso come nel ´68, quando stavo male già alla Parigi-Nizza. Nel ´74 non sono neppure partito, vinse Gimondi». Eddy era talmente forte da staccare tutti anche in pianura, oppure sui capi (il Berta, il Mele) che oggi sono quasi cavalcavia: «Ma se non fanno più selezione, vuol dire che i ciclisti non hanno abbastanza potenza». E nessuna tattica speciale: «Mi piaceva improvvisare, in bici si fa così, si gioca d´istinto. Nel ´75 rientrai sul gruppetto di Moser all´ultimo chilometro, e gli altri nemmeno se ne accorsero. Vinsi io, con addosso la maglia iridata». Quasi più facile ricordare le rare sconfitte, anche perché quelle non furono mai uguali: «Nel ´70 c´era Zilioli in fuga, sembrava una corsa controllata e liscia, invece mi sorprese Dancelli che all´arrivo non la smetteva più di piangere».
La Sanremo è una gara strana, in apparenza il tracciato è facile, anche se nervoso. Quasi banale, però infinito. La chiamano il mondiale di primavera: «Definizione esagerata, mancano molti tra i protagonisti del Tour». Però nessuna classica, a parte la Roubaix, possiede lo stesso fascino. «Perché è la prima, e tutti vogliono cominciare vincendo. Il calendario delle corse è cambiato, ai miei tempi la sosta invernale era lunga, però io continuavo a pedalare, a marzo ero già in forma».
La classica della pianura lombarda e piemontese, della nebbia e della monotonia, poi si scollina sul Turchino e ci si tuffa verso il blu. Così tutto cambia. Ci sono i fiori, i bambini infagottati sul lungomare per attendere il gruppo nel vento (alzare bene la sciarpa sul naso!), ci sono le impennate tra gli ulivi e le picchiate. «La Sanremo del ´66 è stata la mia prima, grande vittoria, mi sono presentato al mondo, perciò resta speciale e le voglio bene. Poi, questa classica ha accompagnato tutta la carriera, è stata un po´ la mia storia». Fino all´ultima, nel ´76, quando Merckx arrivò a Sanremo da solo: «Indimenticabile, non ero più giovane e superai il record di Girardengo».
Oggi Eddy Merckx si occupa di pubbliche relazioni e della sua azienda di biciclette, però non parla di ciclismo con l´amarezza della vecchia gloria: «Rimane uno sport bellissimo, credo che la fase peggiore del doping sia superata. Mi appassiona sempre». Come accade ai cicloturisti che salendo verso il Poggio si accorgono di quella sagoma grossa e lenta, la riconoscono e si avvicinano in religiosa estasi, sfiorando mimose e ginestre. «Mi salutano, qualcuno comincia a chiacchierare e fa un pezzo di strada con me». Ma i più, dice Eddy, restano nella sua scia in silenzio. Forse non vogliono disturbare un così grande destino.