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 2011  marzo 14 Lunedì calendario

UN GIORNO A CASA TAUSHI "COSÌ SI RESISTE A TOKYO"

Da oggi enormi città-quartiere ormai integrate nella metropoli di Tokyo come Musashino resteranno per tre ore al giorno senza corrente. Lo ha annunciato l´azienda elettrica municipale Tepco indicando ora per ora i tagli alla fornitura, dalle 6,20 alle dieci di sera tra Zushi a Gotenba, Saitama e Takasaki, Utsonomiya e Kasumigaura. Succede a causa della riduzione e del blocco delle due centrali di Nigata e Fukushima colpite dal sisma, che fornivano quasi il 30 per cento dell´energia a Tokyo, assetata quotidianamente di 4100 milioni di kilowatt, contro i 3100 disponibili adesso che la terra ha tremato e le acque si sono alzate.
Se non è certo ancora ai livelli di una metropoli del terzo mondo, la paura del buio elettrico si fa strada nella percezione di ogni famiglia della metropoli. Significa perdere privilegi, abitudini come il bagno caldo e le connessioni Internet velocissime, vecchie certezze come la libertà di spostamenti veloci sui treni proiettile. Ma più di tutto pesa l´incertezza che di fronte alla rabbia della natura si possa davvero, come cerca di rassicurare il governo, ricostruire anche stavolta.
A casa del professore in pensione Hatsuyoshi Taushi, una moglie di nome Yoko che si prende cura di lui, due figli grandi, uno che continua a occuparsi freneticamente di affari con una bambina traumatizzata affidata alla madre, l´altro interprete di inglese, le scosse non sono state violentissime. Ma da quel giorno anche dai Taushi, come in ogni casa della capitale, si è cominciato a cambiare registro. Prima, tra le sei e le otto di sera, si trovavano tutti insieme a cena, tra chiacchiere in famiglia, le luci accese, la televisione in funzione, il figlio interprete di nome Semon che dà un´occhiata alle ultime email. Adesso c´è solo una lampada in tutta la stanza e il riso è stato già cucinato da due ore per evitare che con il surplus di energia usato da tutti i 10 milioni di abitanti di Tokyo durante le ore del buio si possa restare vittime del black out e senza cibo.
I Taushi hanno anche deciso di ridurre il numero delle ore passate davanti alla tv dopo aver visto piegarsi col sisma il pennone che trasmette le onde radio in cima alla Torre di Tokyo, principale simbolo della città. Non è l´edificio più antico, anche se 52 anni sono tanti per una realtà moderna come la capitale del Giappone. Ma i turisti prima di venerdì scorso ci salivano a frotte per vedere dall´alto il panorama degli svettanti grattacieli e del mare placido, orgoglio cittadino.
L´annuncio dei tagli di corrente è stata per i tanti Taushi di Tokyo la conferma che assieme al pennone qualcosa di ben più storto sta succedendo alla capitale di un impero che potrebbe non reggere più nemmeno la terza posizione, dopo essere stata fino a poco fa la seconda economia più potente del mondo. L´ex professore ritiene che i tempi sono maturi in Giappone per sacrifici impensabili dai tempi della ricostruzione post bellica, e così lo crede suo figlio trentacinquenne Semon. Addio apparecchiature sofisticate vanto del paese dei Sony e dei Toshiba se senza corrente i preziosi nuovi piccoli simboli dell´economia globale dovessero restare senza carica per funzionare. Sta già succedendo.
Semon, che per il suo lavoro ha bisogno di molte batterie per caricare il registratore, ieri è andato a comprarle e in tutta la zona di Takadanobaba erano esaurite, accaparrate fino all´ultima scatola. Col passare delle ore stanno diventando troppi i piccoli segnali d´allarme che assillano la gente comune. Hidenokuni, un amico di Semon, vive ancora con i genitori in periferia e sua madre gli ha chiesto di andare a comprare la carta igienica e gli assorbenti. «Quando sono arrivato nel supermercato - è la sua testimonianza - si stavano contendendo gli ultimi pacchi».
Così è successo con i distributori di benzina che alimentano il fiume di auto in circolazione senza sosta. «È stato come risvegliarci tutti da un lungo letargo - dice il professor Hatsuyoshi - Stavamo troppo bene e ora sappiamo che potrebbe essere stata solo una lunga incredibile illusione». Camminando lungo le strade di Takadanobaba, dove venerdì masse di cittadini spaventati si aggiravano con gli occhi rivolti alle torri dei grattacieli piegate come tronchi di palme, Semon tira fuori dalla tasca un piccolo oggetto bianco, un fischietto. «Adesso lo porto sempre in tasca - spiega - perché così possono sentirmi se dovessi restare incastrato dopo un crollo».
È uno dei piccoli espedienti che gli hanno insegnato a scuola, consigli su come fare in caso di terremoto o di black out, e ascolta molto più a lungo la radio per sapere dove saranno i contenitori pubblici per l´acqua potabile, le mense collettive, gli ospedali e i centri di prima assistenza dove trasportare i feriti, i punti di raccolta delle famiglie disperse del quartiere.
«Sia io che i miei genitori - dice Semon - prima di dormire apriamo la porta, riempiamo d´acqua la vasca da bagno e mettiamo le scarpe vicino al cuscino». Sembra un rituale strano ma ogni cosa ha un motivo preciso. La porta potrebbe restare incastrata dalla cornice e non aprirsi in caso di emergenza, l´acqua potrebbe venire a mancare e la prima cosa a rompersi in caso di terremoto sono i vetri. Numerose vittime dei terremoti passati sono morte dissanguate per aver corso a piedi nudi verso l´uscita.
Bisogna immaginarsi Tokyo nel buio pesto per pensare a cose che sembrano surreali prima di un evento del genere. Predisporre gli oggetti importanti della casa in punti strategici e fissi per trovarli in caso di bisogno, come le torce, andarne a comprare di nuove, sbrigarsi prima che finiscano anche queste come gli assorbenti e le batterie. «Fino a pochi giorni fa non ci passava nemmeno in mente di poter vivere nella precarietà - dice Semon - e nella mia famiglia come penso in tante altre questo sentimento si è trasformato in un legame ancora più intenso tra fratelli, genitori, amici. «Non credo che siamo stati mai così uniti, come giapponesi dico non solo come singole famiglie. Lo posso dimostrare con il fenomeno di twitter. Mio padre magari alla sua età non lo capisce, ma attraverso questi milioni di messaggini che passano in rete so per certo che stiamo tutti reagendo allo stesso modo, interessandoci l´uno dell´altro, e della sorte collettiva allo stesso tempo. Il tweet più diffuso - racconta - dice «Spegni una luce, salva una vita», e ognuno con frasi sue alimenta questa propaganda martellante per il risparmio di energia, considerando che un giorno magari dovremo imparare a farne a meno. È un vero e proprio movimento, senza precedenti, se pensiamo al terremoto di Kobe di 16 anni fa quando la città resto isolata per giorni e giorni senza poter comunicare col mondo esterno. Le nostre paure individuali sono oggi le paure di tutti e abbiamo imparato anche a chiedere aiuto e a darne. Un gesto come quello dei commercianti che sono andati a offrire ai senza tetto i cartoni degli imballaggi per ripararsi dal freddo è rivoluzionario. Prima non gli sarebbe nemmeno passato per la mente».