Marco Fortis, Il Messaggero 14/3/2011, 14 marzo 2011
LE SFIDE DI UN GIAPPONE FERITO
Può sembrare impietoso che, mentre ancora non si è finito di contare il numero dei morti e dei feriti provocato dal terribile terremoto che ha colpito il Giappone e si temono drammatici ed imprevedibili sviluppi in alcune centrali nucleari seriamente danneggiate, economisti e media già stiano cercando di capire quanto costerà questa catastrofe in termini economici. Il fatto è che la vita va avanti. E la vita di milioni di giapponesi ed anche di tante altre persone nel mondo dipenderà dall’entità del disastro, dalle sue ripercussioni sull’economia nipponica, sulla spesa pubblica e sul debito statale, sull’export e sul tasso di cambio dello yen, sulle Borse e persino sulle quotazioni delle compagnie assicuratrici. In definitiva, bisognerà vedere quanto il sisma potrà influire sulla stessa ripresa dell’economia mondiale già molto debole.
Nei giorni scorsi alcuni centri di ricerca hanno quantificato il possibile impatto del terremoto sull’economia giapponese tra lo 0,5% e l’1% del PIL ma si tratta di stime ancora molto approssimative e poco chiare. Una cosa, infatti, è il danno patrimoniale arrecato dal terremoto e dal successivo tsunami a strade, infrastrutture, case e fabbriche, un’altra è la sua ricaduta sul PIL a breve e medio termine.
Per quanto concerne i danni patrimoniali, la cui entità è sicuramente molto rilevante, è bene essere cauti. Ancora si sa poco sull’impatto complessivo della catastrofe e gli stessi esiti dell’emergenza nucleare in alcune centrali potrebbero far lievitare le stime dei danni economici e delle ricadute sulla popolazione. Alcuni analisti intervistati nei giorni scorsi dalla BBC hanno tentato un raffronto con il terremoto che colpì Kobe nel gennaio del 1995, il quale provocò 6.400 vittime, lasciò senza casa 300.000 persone e costò circa 100 miliardi di dollari dell’epoca. L’area allora interessata era economicamente più importante di quella odierna. Ed è stato fatto altresì notare che il Giappone è sicuramente più preparato oggi di quanto non fosse nel 1995 a questo tipo di disastri naturali. Solo il tempo ci dirà se gli esperti avranno avuto ragione perché il bilancio del pauroso sisma della scorsa settimana si sta facendo ora dopo ora sempre più grave in termini di vite umane e di distruzione materiale.
Per quanto riguarda l’impatto della catastrofe odierna sulla dinamica del PIL altri analisti hanno messo in evidenza come in occasione del terremoto di Niigata del 2004, che provocò danni per 30 miliardi di dollari, il PIL giapponese diminuì inizialmente dello 0,4% ma nei successivi sei mesi aumentò dell’1%. Ciò, secondo gli esperti, potrebbe ripetersi ora anche per effetto delle ricadute economiche delle opere di ricostruzione.
Tante, tuttavia, sono le incognite odierne. Non solo perché le economie avanzate non sono ancora guarite dalla grave crisi dei mutui sub-prime. Ma anche perché il Giappone che ha subìto questa ennesima ferita è un gigante un po’ malfermo sulle gambe. Rimane un protagonista assoluto della vita economica mondiale ed il suo popolo è tradizionalmente orgoglioso e reattivo. Ma negli ultimi anni il Giappone ha indubbiamente perso peso relativo, superato per dimensioni del PIL dalla Cina. Inoltre, è meno forte nell’industria di un tempo ed ha un debito pubblico lordo che è ormai pari a circa il 225% del PIL, mentre era al 95% quando vi fu il terremoto di Kobe e al 178% nel 2004.
Diversamente da Germania e Italia, che come il Giappone non hanno sperimentato una forte crescita del PIL nell’ultima decade, il Paese del Sol levante è ormai da un ventennio che non ha più il turbo nel motore. Sicché, creando l’economia poco reddito aggiuntivo, le famiglie giapponesi hanno dovuto cominciare ad intaccare il loro pur sempre elevato patrimonio immobiliare e finanziario. Secondo stime del Credit Suisse, la ricchezza per adulto a tassi di cambio costanti tra il 2004 e il 2010 è diminuita in Giappone del 6% mentre, per un confronto, quella degli americani è aumentata del 4% e quella degli italiani dell’11%.
La bilancia commerciale giapponese per i manufatti, tradizionalmente attiva e punto di forza dell’economia nipponica, era la più alta del mondo nel 2000 con un surplus di 237 miliardi di dollari, quasi doppio di quello della Germania. Nel 2009 al primo posto si è invece portata la Cina con 450 miliardi di dollari, seguita dalla Germania con 288 miliardi, mentre il Giappone è sceso al terzo posto con 222 miliardi. E’ vero che una quota sempre maggiore di vendite delle multinazionali giapponesi avviene estero su estero, avendo esse delocalizzato molte produzioni in Cina. Sicché parte dell’export cinese è realizzato in realtà da imprese del Sol levante. Ma così facendo una quota di PIL sempre maggiore anziché rimanere sul suolo giapponese è emigrata all’estero.
Le opere pubbliche che si renderanno necessarie per la ricostruzione dopo il terremoto potrebbero agire da impulso sul PIL nipponico, che è calato nel quarto trimestre 2010, ma aggraveranno il debito statale e, secondo alcuni, potrebbero portare ad un’ulteriore rivalutazione dello yen a seguito di un aumento del tasso di risparmio, disinvestimenti esteri e rimpatrio di capitali. Uno yen più forte potrebbe frenare ulteriormente l’export e ciò non aiuterebbe un Paese che ha assorbito con fatica la forte caduta del PIL del 2009, con una ripresa altalenante nel 2010 sostenuta da un deficit pubblico altissimo. Quest’ultimo dal 10,2% del 2009 avrebbe dovrebbe scendere (di poco) all’8,1% nel 2012. Ma queste erano le stime prima del terremoto. Chissà a che livello si collocherà invece ora il deficit statale giapponese.
D’altra parte, il Giappone ha importanti elementi di solidità economica. Uno di essi è la sua imponente posizione finanziaria netta sull’estero che è stimata, secondo la Banca d’Italia, in una cifra pari al 56% del PIL. Un altro elemento relativamente tranquillizzante è che il debito pubblico di Tokyo è certamente enorme ma esso dipende pochissimo dagli investitori esteri essendo finanziato quasi interamente dai cittadini giapponesi con il risparmio. Proprio il risparmio, assieme alla tecnologia e all’orgoglio nazionale, resta una delle armi migliori di un Paese che pure ha palesato problemi negli ultimi anni, tra cui una crescente instabilità politica.