LAURA PUTTI , la Repubblica 13/3/2011; GIANNI MURA , la Repubblica 13/3/2011, 13 marzo 2011
2 articoli - BRASSENS SEGRETO - PARIGI Nato nel 1921 e morto nel 1981, con una straordinaria carriera musicale e poetica iniziata nel 1951: il 2011 non poteva che essere l´anno di Georges Brassens
2 articoli - BRASSENS SEGRETO - PARIGI Nato nel 1921 e morto nel 1981, con una straordinaria carriera musicale e poetica iniziata nel 1951: il 2011 non poteva che essere l´anno di Georges Brassens. Da martedì la Cité de la Musique gli rende omaggio con una grande, bizzarra, appassionata mostra che mobiliterà i devoti dello chansonnier, ma anche giovanissimi neofiti. Perché, oltre alla giornalista Clémentine Deroudille, "Brassens ou la libertè" ha come curatore Joann Sfar, star del fumetto francese (e regista l´anno scorso del film su Gainsbourg). Il quale, disseminando il percorso della mostra di grandi disegni colorati, creando un´immagine per ognuna delle quasi duecento canzoni, scrollerà dal "personaggio Brassens" la polvere del tempo: troppi licei di Francia portano il suo nome e i giovani lo vedono come Victor Hugo. «Molti francesi pensano che Brassens sia ringard (slang traducibile in: vecchiotto, fuorimoda, ndr). Ma è esattamente il contrario!» dice Clémentine Deroudille, la quale oltre a essere giovane, bella e piena di energia, è anche nipote del grande fotografo Robert Doisneau. «Pessimo studente non finisce il liceo ma va in galera per furto. Arriva a Parigi e si innamora, a vent´anni, di una donna che ne ha trenta di più. Lavora in fabbrica, finisce in un campo di lavoro in Germania e fugge. Vive senza acqua corrente ed elettricità un ménage à trois prima di incontrare la donna della sua vita. Poeta e anarchico (solo una volta nel ´72 manifesterà contro la pena di morte che vedrà abolita nell´81 pochi giorni prima di morire), intellettuale e coltissimo, nemico del comfort e libero da tutto e tutti: se non è un uomo moderno questo...». Per la donna della sua vita, Puppchen, nel ´66 Brassens scriverà la meravigliosa Non-demande en mariage: «Ho l´onore di non chiedere la tua mano [...] Come a un´eterna fidanzata, alla signora dei miei pensieri, sempre io penso» (nella traduzione di Nanni Svampa). "Brassens ou la liberté" mostrerà fotografie e documenti rimasti per decenni nelle case degli amici. Le foto con la madre italiana, Elvira Dragosa; l´inizio del successo, i Trois Baudets, Bobino, l´Olympia; i duetti con Trenet e con l´adorato Tino Rossi; le due case in Bretagna, i gatti, i cani, gli amici; il cinema, come attore solo in Porte des Lilas di René Clair, ma anche un paio di volte come compositore. Ci sarà perfino il journal de bord, il diario di Brassens, unico vero inedito della mostra per la quale il compositore e arrangiatore Olivier Daviaud ha messo in musica una quarantina di testi di giovinezza mai cantati (ma pubblicati in un libro). «Con una gran faccia di bronzo sono andata a bussare a molte porte, e tutte si sono aperte», dice Clémentine Deroudille. «Prima di tutti, i nipoti Serge e Martine Cazzani, gli eredi, figli di Simone la demi soeur di Brassens (stessa madre, padri diversi), mi hanno aiutata. Poi Françoise Onteniente, figlia di "Gibraltar", leggendario segretario di Brassens che ancora vive all´Impasse Florimont; poi tanti parenti dei copains d´abord, gli amici di sempre: i Fallet, i Canetti e gli altri. Credo che la mia energia li abbia convinti, si sono fidati, anche del fatto, forse, che ero nipote di Doisneau, che aveva molto fotografato Brassens. Tutti mi hanno detto: guarda in quella scatola, ma poi non mi lasciavano andare via, trovavano sempre altre cose. Segno che era il momento giusto, che Brassens premeva per uscire dagli scatoloni». L´ultima sala della mostra è dedicata alle infinite interpretazioni delle sue canzoni in tutte le lingue del mondo, con le voci italiane di Fabrizio De André, Nanni Svampa, Beppe Chierici e il Brassens in friulano del Povolar Ensemble. LAURA PUTTI , la Repubblica 13/3/2011 IL BURBERO MAESTRO DI TUTTI I CANTAUTORI Esiste una sola foto che riunisce la trinità degli chansonnier: Georges Brassens, Jacques Brel e Léo Ferré. È stata scattata negli studi radiofonici di Rtl nel 1969 per un´intervista collettiva organizzata dalla rivista Rock et folk. Tutti e tre fumano, chi la pipa chi sigarette, e parlano del loro lavoro. «Io non sono un poeta, o forse solo un pochino. Mescolo parole e musica e poi canto». Questo è Brassens. «Chi si dice poeta non lo è», taglia corto Ferré. «Io mi giudico un artigiano», dice Brel. Normale che si parlasse di poesia, e anche, visto il periodo, di impegno politico. Ora che sono scomparsi, ma le canzoni restano, Parigi dedica una grande mostra a Brassens dopo che la sua città sul mare, Sète, gli ha dedicato un Espace (un bel modo per non usare la parola museo, a Georges non sarebbe piaciuta). Ora si può dire che quest´uomo massiccio e timido ha come pochi sedotto la Francia degli intellettuali e quella popolare, col suo anticonformismo non di maniera, con le sue storie di puttane, ladruncoli, becchini, papponi, disoccupati, tipi che fan fatica a mettere insieme pranzo e cena. E di contro i benpensanti, la trinità giudici-poliziotti-preti, la morale pronta, l´ordine costituito. Queste ultime righe potrebbero valere anche per Fabrizio De André, che indicava Brassens come un maestro, ma non volle mai incontrarlo per timore di andare a sbattere contro un carattere burbero. Nanni Svampa, ottimo traduttore-inteprete in dialetto milanese di molte canzoni di Brassens, invece lo incontrò e lo trovò molto cortese. Anche perché Elvira, la madre di Georges, era di origine italiana, Marsico Nuovo, in Lucania. Vedova di guerra, con una figlia, Simone, si era risposata con Jean-Louis Brassens, muratore, e il 22 ottobre del ´21 era nato Georges. «Sono cresciuto in mezzo alla musica. Cantava mia madre, canzoni napoletane, e di quelle francesi trascriveva i testi e li imparava a memoria. Cantava mio padre, sul lavoro. A cinque anni sapevo già duecentocinquanta canzoni». I suoi idoli erano Tino Rossi e il più jazzato Charles Trenet. D´altra parte anche Yves Montand sognava di diventare come Fred Astaire. Poi è la vita che sceglie e nella vita di Brassens ci sono almeno due svolte fondamentali. A scuola, il voto più alto l´aveva in educazione fisica, ma al liceo il professor Bonnafé fa innamorare Brassens della poesia: Villon e poi Hugo, Rimbaud, Verlaine. Brassens comincia a scrivere poesie. Ma, in seguito a una condanna a quindici giorni di carcere con la condizionale perché coinvolto di striscio in una serie di furtarelli, storia narrata in una canzone (Les quatre bacheliers), migra nel ´40 a Parigi, e passa dal mandolino suonato a Sète al pianoforte. Lavora alla Renault, collabora alla rivista anarchica Le monde libertaire con pseudonimi bizzarri (Jo Cédille, Pépin Cadavre). Nel ´43 finisce al campo di Basdorf, vicino a Berlino: servizio di lavoro obbligatorio. Nella baracca, svegliandosi prima degli altri, scrive canzoni come Pauvre Martin e Brave Margot. Nel ´44, in licenza per quindici giorni, si nasconde al 9 di Impasse Florimont, nel quattordicesimo arrondissement. Ci resterà fino al ´66. La coppia che lo ospita è formata da Jeanne (La cane de Jeanne) e Marcel Planche (Chanson pur l´auvergnat). Tra topini bianchi, gatti neri, pesci rossi e un pappagallo verde, e rigorosamente niente donne (Jeanne è categorica) Brassens è a suo agio. La donna della sua vita l´ha incontrata nel ´47, in métro: Joha Heiman, estone, divorziata, nata dieci anni prima di lui. La chiamerà Puppchen, bambolina. Staranno sempre insieme ma in appartamenti diversi. Dell´esperienza tedesca a Brassens rimane un amico, Pierre Onteniente, da Brassens ribattezzato Gibraltar perché è forte come una roccia. A Brassens dei soldi non importa nulla, delega Onteniente. Che gli metterà all´inizio di ogni settimana un po´ di soldi in un vaso. Quando finiranno, in due giorni o in un mese, Georges gliene chiederà altri. Si vantava di non essere mai entrato in una banca e diceva di essere così anarchico da attraversare regolarmente sulle strisce pedonali, pur di non dover questionare coi flic. In realtà, il Maggio non lo vede sulle barricate (è in ospedale a farsi curare i calcoli) ma per i circoli anarchici si esibirà sempre gratis. Seconda svolta. È Patachou, cantante e proprietaria di un cabaret, a imporlo nel mondo della canzone, dove Brassens si presenta a trentun anni. Patachou lo spinge letteralmente sul palcoscenico e gli dice: «Tra un anno sarai più famoso di me». È il ´52. Nell´ottobre ´53 Brassens ha già fatto saltare il banco e conquistato Parigi, dal palco dell´Olympia, e la Francia. Pure, è l´antidivo: non «vive» le sue canzoni come Brel, non ha l´aspetto profetico di Ferré, non gesticola, non mima. Entra in scena con la chitarra tenuta come una zappa, lo accompagna solo un contrabbasso e sarà così fino all´ultimo. Una chitarra aggiunta, solo per i dischi. Anche oggi molti trovano «troppo facile, i soliti tre accordi» la sua musica. Sui testi, chapeau: grande abilità metrica, sapiente alternanza del ricordo classico e della parolaccia da strada, un vero esprit gaulois. Lo si può considerare il padre di tutti gli chansonnier con chitarra e, soprattutto, il cantore dell´amicizia, che con la morte e più dell´amore caratterizza le sue canzoni. Perfetto per l´Olimpya e per un tavola d´osteria. Questo è Brassens: grandemente semplice e semplicemente grande. GIANNI MURA , la Repubblica 13/3/2011