Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 13 Domenica calendario

L´APPELLO DI VIETTI SULLA RIFORMA "CAMBIA TUTTO, DEVE ESSERE CONDIVISA" - ROMA

«Qui si riformano i magistrati, e non la giustizia». Michele Vietti è in montagna. Testa fredda dunque. Il vice presidente del Csm ha aspettato quasi tre giorni prima di parlare. La sua idea di riforma è che debba essere «condivisa, organica, non punitiva». Siamo lontani da quella di Berlusconi. Ma Vietti è uomo prudente. Delle istituzioni. Apre un credito ad Alfano: «Bene la sua disponibilità a future modifiche». Ma mostra di non gradire «le continue recriminazioni di altri...». Attento a non scendere in guerra col premier. Tra le tante, una cosa lo allarma, quella responsabilità civile dei giudici messa in Costituzione che «rischia di allungare i tempi dei processi e moltiplicare le cause».
Questa è una piccola o una grande riforma?
«Anzitutto, mi permetto di osservare che non è la riforma della giustizia, come viene presentata, ma della magistratura. Il costituente aveva intitolato, secondo me correttamente, questa parte della Carta alla magistratura perché di questo si parla in quegli articoli. La giustizia è il servizio reso al cittadino in risposta alle sue esigenze di veder assegnati i torti e le ragioni. E qui occorrerà intervenire, prima o poi, con iniezioni di tempestività ed efficienza».
Sì, ma non mi ha detto se la ritiene piccola o grande.
«Si tratta di un intervento molto radicale che cambia in profondità l´assetto della magistratura italiana. Nessuno può mettere in dubbio la legittimità del governo di intervenire su questa materia, né del Parlamento di discuterne, ma occorre avere piena consapevolezza della sua portata alternativa rispetto all´impostazione del ´48. Da questo derivano due conseguenze. Che tanto più grande è l´intervento, tanto più grande dev´essere la condivisione. E che ci vuole un coordinamento con gli altri interventi costituzionali dall´articolo 41 al 118».
Riforma condivisa, già. L´ha raccomandato il capo dello Stato ad Alfano, ma lui, solo a testo presentato, comincia a cercare consensi. Non era meglio farlo prima?
«Apprezzo comunque lo sforzo del ministro di dichiarare non intangibile il testo e di ricercare il consenso. Evidentemente è ben conscio della difficoltà e della lunghezza dei passaggi parlamentari con, sullo sfondo, il rischio del referendum. Viceversa non apprezzo la litania delle recriminazioni contro chi avrebbe ritardato la riforma o il ricorso ad affermazioni che lasciano trasparire intenti punitivi».
Berlusconi "vende" il suo prodotto come una manna che salverebbe la gente dai cattivi magistrati.
«La magistratura è il presidio della legalità nel nostro Paese e come tale non solo merita rispetto, ma va additata ai cittadini, sia nella sua componente inquirente che in quella giudicante, come baluardo contro il rischio permanente delle aggressioni allo stato di diritto. Si può discutere di come riorganizzare i magistrati, ma non si può mai metterne in dubbio il ruolo».
Per le toghe la riforma è «punitiva». Il premier ripete che con essa non ci sarebbe stata Mani pulite. È un vanto positivo?
«Nell´eterno gioco a "guardie e ladri" io sto sempre con le prime e mai con i secondi. Il riferimento storico non mi sembra felice, e l´argomento, come direbbero i giuristi, "prova troppo"».
I 18 articoli compromettono i principi supremi della Costituzione, l´uguaglianza e la forma dello Stato?
«Non è facile rispondere. La nostra Carta, attraverso un apparato normativo rigido, vuole preservare l´intangibilità di alcuni principi fondamentali, e perciò prevede per le modifiche solo un percorso riformatore qualificato. Con questo intervento alcuni di questi principi fondamentali, pur non espressamente negati, diventano determinabili e modificabili con la legge ordinaria per la formulazione troppo generica del testo».
La sua osservazione è grave. Ce la spiega meglio?
«Faccio alcuni esempi di questa genericità rischiosa. Nel nuovo articolo 104 sarebbero le norme dell´ordinamento giudiziario a dover assicurare autonomia e indipendenza dell´ufficio del pm, al quale non sarebbe più riconosciuta e costituzionalmente garantita la stessa autonomia e indipendenza del giudice, perché la legge potrebbe decidere diversamente. L´inamovibilità dei magistrati all´articolo 107, da sempre considerata una garanzia fondamentale della loro indipendenza, viene declassata da principio rigido a derogabile nei casi previsti dalla legge ordinaria. Infine, l´obbligatorietà dell´azione penale da parte del pm e la disponibilità della polizia giudiziaria non vengono contraddetti, ma si consente al legislatore ordinario di rimodularli».
Così si svuota la Costituzione?
«Il rischio è di mettere nelle mani delle maggioranze del momento la declinazione concreta di alcuni principi fondamentali posti a garanzia dell´uguaglianza dei cittadini e della parità di trattamento davanti alla giurisdizione, con il conseguente affievolirsi di una netta separazione dei poteri».
C´è il rischio che il potere esecutivo invada il giudiziario?
«La previsione di undici decreti attuativi rispetto a 17 articoli della Carta modificati lascia aperto l´interrogativo».
Lei si sente il vice presidente di una terza Camera?
«Assolutamente no. Il Consiglio è il presidio dell´indipendenza della giurisdizione perché assicura, attraverso il governo autonomo, il principio della separazione dei poteri. Con gli altri poteri c´è una leale collaborazione per perseguire gli obiettivi di pubblica utilità. Non si può ridurre il Csm a un ruolo di pura amministrazione burocratica, togliendogli quello di rappresentare la magistratura per tutelarne l´autonomo e indipendente esercizio della giurisdizione».
Csm debole, toghe deboli?
«Confido che strada facendo almeno l´ipotesi dello sdoppiamento del Consiglio possa essere ripensata. Magari nella logica di due distinte sezioni. Il divieto di esercitare funzioni diverse da quelle elencate, almeno come suona oggi, non consentirebbe di svolgere alcune attività fondamentali pacificamente attribuite al Consiglio, come la formazione professionale e l´organizzazione degli uffici giudiziari».
Che succederà quando sulle toghe incomberà la minaccia di pagare di tasca propria per un errore commesso?
«Curiosamente qui, a differenza delle altre materie, si costituzionalizza un principio che invece poteva tranquillamente trovare un riassetto con una legge ordinaria».
È un segnale minaccioso alla categoria?
«Le conseguenze rischiano di essere due. La moltiplicazione del contenzioso, perché ogni soccombente penserà di essere vittima di un´ingiustizia e citerà in giudizio il suo giudice. La "sindrome da firma", nel senso che saranno tali e tante le paure da mettere a rischio non solo la libertà di scelta, ma soprattutto la tempestività della decisione. Tutto con buona pace della ragionevole durata del processo».