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 2011  marzo 13 Domenica calendario

La colonna sonora della nostra storia - «Maledetto chi gavazza /nell’ebbrezza dei festini...»

La colonna sonora della nostra storia - «Maledetto chi gavazza /nell’ebbrezza dei festini...» . Uffa, ancora questa menata dei festini di Arcore? Macché, è l’Inno dei lavoratori del 1886. L’anno in cui veniva inaugurata la Statua della Libertà in faccia a New York. E semmai i meno frizzanti festini con «la bella Bolognina» (niente brasiliane o marocchine, allora) li faceva re Umberto I di Savoia. Che di lì a pochi anni sarebbe stato assassinato a Monza da Gaetano Bresci. Un attentato sul quale sarebbe stato composto un motivetto anarchico: «Alla stazion di Monza /arriva un tren che ronza /hanno ammazzato il re /colpito con palle tre» . E giù l’invettiva: «Bruceremo le chiese e gli altari /bruceremo i palazzi e le regge /con le budella dell’ultimo prete /impiccheremo il papa e il re» . Non c’è Alla stazion di Monza, nella raccolta di 76 canzoni raccolte nel cofanetto Pane, rose e libertà. Le canzoni che hanno fatto l’Italia, edito da Rizzoli in tre cd accompagnati da un saggio dello storico Cesare Bermani sulla musica popolare che ha accompagnato un secolo e mezzo di vita italiana. E mancano, dichiaratamente, interi filoni. La canzonetta ammiccante da serata conviviale («E sempre lì volea volare /l’oselin de la comare...) come quelle raccolte da cultori quali Gianluigi Secco. Le canzoni patriottiche sabaude. Le canzoni, salvo eccezioni, dialettali. Le canzoni militari. Le canzoni cattoliche del ’ 48: «Dell’orda pagana /che ardita ci assale /la plebe cristiana /non teme lo strale» . Le canzoni fasciste, alcune delle quali, piaccia o non piaccia, erano deliziose (come quella contro le sanzioni volute dall’Inghilterra: «Sanzionami questo /amica tenace /lo so che ti piace /ma non te ne do» !) o musicalmente bellissime. Come Caro papà: «Anche io combatto, /anche io con la mia guerra /con fede, con onore e disciplina /desidero che frutti la mia terra /e curo l’orticello ogni mattina...» . Come dichiarano gli stessi autori, Pane, rose e libertà e la parallela raccolta dell’editore Ala bianca che esce in contemporanea con il titolo L’Italia nelle canzoni (con disegni di Sergio Staino) non pretendono di offrire un panorama completo. C’è solo un pezzo della canzone italiana di questo secolo in mezzo. Dagli inni garibaldini ai canti nati nelle risaie, dai «fogli volanti» di fine Ottocento alla canzone di protesta sessantottina come Contessa di Paolo Pietrangeli: «Sapesse, mia cara che cosa mi ha detto /un caro parente, dell’occupazione /che quella gentaglia rinchiusa lì dentro /di libero amore facea professione...» . La canzone «contro» . Scritta da mano anonima o da cantastorie, da autori perduti nel tempo o grandi cantautori come Ivan Della Mea, Fausto Amodei, Gualtiero Bertelli, Giovanna Marini. Cantata da questi o magari da un coro di contadine di Medicina, Bologna. Ma sempre «contro» . Contro gli odiati occupanti austroungarici: «Sia maledetta l’Austria /da un fulmine di guerra /da un fulmine di guerra /dal cielo e dalla terra» . Contro il generale Fiorenzo Bava Beccaris che nel maggio 1898 fece sparare con i cannoni contro la folla in piazza per la «rivolta dello stomaco» ammazzando un’ottantina di milanesi: «Deh, non rider, sabauda marmaglia: /Se il fucile ha domato i ribelli, /Se i fratelli hanno ucciso i fratelli, /Sul tuo capo quel sangue cadrà» . Contro i protagonisti del crack della Banca Romana e i politici che li avevano coperti: «Se rubi una pagnotta a un cascherino (crak!) /te ne vai dritto in cella senza onore (crak!) /se rubi invece qualche milioncino /ti senti nominar commendatore /I nostri governator /son tutti malfattor /ci rubano tutto quanto /per farci da tutor» . E poi contro gli ufficiali col cuore di pietra che nella Prima guerra mondiale mandavano i soldatini a morire all’assalto dei colli di Gorizia: «O vigliacchi che voi ve ne state /con le mogli sui letti di lana, /schernitori di noi carne umana, /questa guerra ci insegna a punir» . Contro Mussolini: «Col manganello e con /l’olio di ricinin /Conquistò il potere /il boia Mussolin (...). Quando Mussolino /all’inferno andò /Appena che lo vide /il diavolo scappò» . E contro Pietro Badoglio, prima lacchè del Duce («Poiché è nota la generosità di Vostra Eccellenza nel premiare tutti i suoi fedeli collaboratori, io mi sono permesso di rivolgermi a Vostra Eccellenza perché mi proponesse a Sua Maestà il Re per la concessione di un titolo nobiliare...» .) e poi lestissimo a proporsi come uomo nuovo: «Ti ricordi l’impresa d’Etiopia /e il ducato di Addis Abeba? /Meritavi di prendere l’ameba /ed invece facevi i milion» ! Canzoni di violenza ottocentesca: «Prima in San Pietro /e poi in San Paolo /le lor teste /vogliamo far saltar /e in piazza d’armi /la ghigliottina /le lor teste / vogliamo far saltar» . Canzoni guascone: «I tedeschi par Ravenna /chi s’met a fer i bul /con i baffi di Radeschi /ci vogliam stroppare il cul» . Canzoni durissime, come alcune di quelle sessantottine. Canzoni irridenti, come la rassegna dei ministri di un governo degasperiano: «Ministro dei trasporti /è Guido Corbellini: /se magna li binari /co tutti i traversini (...). Il feudatario Segni /Resta all’agricoltura /nelle nostre saccocce /vuoi far la trebbiatura (...). Guida la processione, /con il messale in mano, /Alcide von De Gasperi, /cancelliere americano» . E così, di canzone in canzone, ti accorgi che cambiano i nomi, cambiano alcuni verbi, cambiano alcune parole d’ordine, cambiano i modi in cui si piange e si ride. Di fondo, però, resta un filo che ci lega tutti insieme. E c’è sempre qualcosa, nell’Italia di oggi, che la fa assomigliare tanto a quella di ieri.