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 2011  marzo 14 Lunedì calendario

Il raìs vince col cannone e ascoltando le tribù - Trattative con le tribù, avanza­te lampo a colpi di cannone e mobili­tazione delle Guardie popolari, in no­me della rivoluzione di 42 anni fa con la distribuzione delle armi ai civili

Il raìs vince col cannone e ascoltando le tribù - Trattative con le tribù, avanza­te lampo a colpi di cannone e mobili­tazione delle Guardie popolari, in no­me della rivoluzione di 42 anni fa con la distribuzione delle armi ai civili. Così il colonnello Gheddafi non solo regge, ma punta alla rivincita contro i ribelli partiti dall’Est, che rischiano di venir stritolati in un’enorme sacca. «Avanziamo verso Bengasi. Siamo al­le porte di Agedabia e posso rivelare che quattro quartieri periferici di To­bruk hanno issato la bandiera verde» spiega al Giornale il colonnello Milad Hussein Al Foghi, portovoce delle for­ze armate libiche. Agedabia , a sud di Bengasi, è lo snodo strategico dove la superstrada costiera, che permette il transito dei carri armati, vira ad est dritta su Tobruk. I comandanti rimasti fedeli a Ghed­dafi sanno che espugnare Bengasi, se­conda città del Paese e roccaforte ri­belle, causerebbe un bagno di san­gue e l’intervento della comunità in­ternazionale. La tattica è più sottile. I carri armati della 32ª brigata guidata da Khamis, il figlio militare di Ghed­dafi, piomberebbero su Tobruk, una volta conquistata Agedabia. Una mossa a tenaglia che punta a isolare la parte della Cirenaica ribelle con Bengasi, El Beida e Derna. I rivoltosi si troverebbero con le spalle al mare. «Chi non si arrende avrà una sola pos­­sibilità: fuggire all’estero» ribadisce il portavoce. Gheddafi non si affida solo ai 7-10mila uomini aviotrasportati del­la brigata comandata dal figlio. Dopo le diserzioni nelle forze armate ha mobilitato le Guardie popolari, eredi dei vecchi comitati rivoluzionari. Di notte, assieme alla polizia segreta, fanno sparire i sospetti oppositori da quartieri e sobborghi della capitale, come Fashlun, Sharm Ben Ashur e Ta­giura. «Adesso che avanzano hanno pure l’ordine di scoperchiare le tom­be dei morti nell’offensiva e portarli via, per non lasciar prove alle spalle» svela una fonte del Giornale a Tripoli. Non solo: dal 6 marzo è iniziata la di­stribuzione di kalashnikov ai civili. Il colonnello ha minacciato di armare da uno a tre milioni di libici. Il bastone, però, non basta. «Non solo garantiamo l’amnistia a chi ab­bandona le armi - spiega Mussa Ibrahim, portavoce del regime - . At­traverso la cabila (tribù) ascoltiamo le richieste della loro gente offrendo posti di lavoro, case, aiuti». Misurata, terza città del Paese a soli 180 chilometri a ovest di Tripoli è in mano ai ribelli. «Ci sono tre fazioni armate divise fra loro- spiega il colon­nello Al Foghi - . Con due stiamo trat­tando e solo una è composta da irridu­cibili ». Il problema è che l’80% delle famiglie di Misurata ha legami fami­liari con Bengasi. La tribù chiave sa­rebbe quella dei Banu Walid, a sud della città, dove sono arroccati i repar­ti di Khamis Gheddafi. Sia i ribelli che i governativi pensano di avere in ma­no l’alleanza con questo clan. Stesso discorso con la cabila dei Farjan, at­torno ad Agedabia. Ed il gioco a scac­chi delle tribù riguarda anche Tripoli con gli Al Mugiabra, a sud-ovest della capitale. Il loro membro più in vista è il generale Abu Bakr Younis Jaber, co­mandante in capo della forze armate. Sembra che sia agli arresti domicilia­ri per le diserzioni. Una volta chiusa in una sacca la Ci­renaica ribelle, si spera che Gheddafi venga costretto a trattare dai suoi uo­mini fidati per evitare il bagno di san­gue. Uno fra tutti Mussa Kusa, ex ca­po dell’intelligence libica per trent’ anni, oggi ministro degli Esteri. Non a caso le sanzioni internazionali nei confronti del clan attorno al colonnel­lo non lo riguardano.