MARCO NEIROTTI, La Stampa 14/3/2011, 14 marzo 2011
Una pallottola nella nuca Solo così potrà vivere - Ho molta fiducia in questi medici Il loro modo di fare e le loro parole mi danno speranza la madre di Samira La lite e il dramma All’origine del litigio che ha portato Mael (nella foto sopra) a sparare a Samira (qui a fianco) la confessione di essere già sposato e di essere in attesa di un figlio dalla moglie
Una pallottola nella nuca Solo così potrà vivere - Ho molta fiducia in questi medici Il loro modo di fare e le loro parole mi danno speranza la madre di Samira La lite e il dramma All’origine del litigio che ha portato Mael (nella foto sopra) a sparare a Samira (qui a fianco) la confessione di essere già sposato e di essere in attesa di un figlio dalla moglie. Nella foto a destra la madre di Samira Era morente. I medici hanno visto tra i capelli scuri e lunghi un piccolo foro e l’hanno salvata pulendo e drenando la ferita, disinfettando più volte al giorno il «canale» scavato nella sua testa da una pallottola. Samira Ben Saad, vent’anni, commessa francese di origine tunisina, porterà forse per sempre dentro di sé il simbolo della mattina del 28 febbraio, quando sulla collina di Costa d’Oneglia (Imperia) il suo ragazzo, Mael Cambier, 22 anni, ha fermato l’auto e le ha sparato a bruciapelo: il proiettile calibro 7,65 è andato a fermarsi tra cervello e cervelletto, senza devastare. Dopo i giorni in Rianimazione al Santa Corona di Pietra Ligure, Samira, uscita dal coma, è stata ora trasferita nel reparto di Neurochirurgia del professor Massimiliano Boccardo, che, in base alle condizioni generali e alla ripresa, è propenso a non operare: «Estrarre la pallottola potrebbe far più danno che lasciarla dove si trova». La memoria tangibile della morte cui è sfuggita resterà conficcata proprio là dove l’altra memoria, quella dei ricordi e delle parole, sembra per ora svanita. Se il recupero sarà lento, la giovane francese andrà al processo contro l’uomo, ma ci andrà come una radiografia, una Tac, anziché come teste che racconta. In questo spezzone di vita finito in nebbia e assopito tra le prime cure nella Rianimazione del dottor Giorgio Barabino c’è un amore di tormento fra lei bellissima e lui, Mael, che, convertitosi all’Islam, diventa Mustapha Zouatit. Sono partiti insieme da Valence, a una decina di chilometri da Lione. Una piccola fuga, tanto che, proprio mentre un automobilista trova il corpo in agonia sulla collina di Imperia, a Valence padre e madre di Samira entrano in commissariato per denunciare la scomparsa. L’ipotesi più probabile - dopo la confessione del giovane - è che lui le abbia rivelato di essere sposato da due anni e in attesa di diventar padre e lei lo abbia respinto fino ad accendere disperazione e voglia di annientare. In Italia scendevano verso sud. A Livorno i proprietari di un hotel raccontano ai carabinieri di averli sentiti litigare con durezza. Infatti la coppia riprende la strada di casa. A Imperia, l’uscita dall’autostrada, la salita verso Torino. Lo sparo e poi la fuga, fino a casa, dove, già identificato dai Carabinieri del colonnello Alberto Minati e del maggiore Paolo Cambieri, Mael va a costituirsi: «So che mi cercano anche gli italiani. Arrestatemi». Mentre lui racconta, lei è silenziosa nel letto di Rianimazione. L’hanno sedata, intubata, sottoposta a ventilazione forzata. Nella disgrazia, fortuna è che la pallottola si è arenata in quel punto. Con un po’ più di forza sarebbe andata a colpire l’osso e rimbalzata per altri percorsi, creando danni irreparabili. Ma Samira, quando si riprende, ha come un vuoto. Risponde con assensi alle frasi che le rivolgono in francese, al suo nome, ma non sa che dire alle domande dei carabinieri che ogni giorno, con tatto, cercano di avvicinarsi alla verità. Il dottor Barabino: «Abbiamo trovato un quadro generale non irrecuperabile. Ha fatto assensi, ma senza parlare». Hanno provato a darle carta e penna ma, forse per debolezza o forse per confusione, ne sono usciti scarabocchi incomprensibili, esaminati per escludere che fossero parole arabe mal tratteggiate. L’emozione, con le lacrime, è venuta quando accanto al letto ha visto la madre, accorsa con gli zii, i cugini, da Valence. Questa donna è rimasta sui divanetti davanti alla porta del reparto ad aspettare l’orario di visita, educata, silenziosa: «Ho fiducia in questi medici. Mi danno speranza». E proprio loro confermano l’importanza di quell’assiduità: «Il contatto con il suo ambiente, la sua realtà, gli affetti è fondamentale nella ripresa», dice il primario, «Racconterà più lui di lei. Dopo un trauma così forte e l’assenza si hanno risveglicon contatti nulli o quasi nulli con l’episodio che ha colpito, oppure risvegli senza inibizione, fino a forme di delirio che poi verranno riassorbite». Lasciata una mattina sul colle, in posizione fetale, in apparenza morta, Samira ha vissuto ignara per qualche giorno altre vite fuori dalla sua, quella della profuga caduta in un brutto giro, quella della prostituta che fuggiva. Le vite di un’indagine. Ora riprende pian piano la sua, bellezza travolta ma non stravolta dalla pallottola che forse porterà a lungo o per sempre in sé.