Giorgio Dell’Arti, La Stampa 13/3/2011, PAGINA 86, 13 marzo 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 82 - RIVOLUZIONE IN FRANCIA
Ei reazionari? Costanza scrisse al figlio che anche i codini erano diventati costituzionalisti. Tutti, tranne l’arcivescovo Fransoni. Fransoni non aveva voluto intonare il Te Deum per la costituzione di Napoli e aveva preteso dal rettore che non fossero ordinati sacerdoti i seminaristi che erano andati in giro con un nastro «Pio IX» e la coccarda azzurra. Lui e il Nunzio pontificio si rifiutarono poi di dir messa il 27, giorno della grande sfilata nazionale, sotto il pronao del tempio della Gran Madre. Erano le prime avvisaglie della guerra tra Stato e Chiesa. L’arcivescovo proibì agli studenti di teologia di prender parte attiva alle celebrazioni del 27. Un mese dopo dovette lasciare la città. Il 18 si notò che i nobili avevano disertato la «serata nazionale» del Carignano. Ma a parte questo, i reazionari sembravano spariti. Alla sfilata del 27 parteciparono centomila persone. Una manifestazione mai vista.
C’era anche Cavour? Il «Risorgimento» aveva mandato un suo gonfalone. E Cavour sfilava nella Quarantunesima delegazione, quella dei giornalisti, dietro alla Quarantesima - i brentatori - e davanti alla Quarantaduesima, gli intagliatori. S’era messo « un soprabito di color scuro-castagno, calzoni neri, cravatta nera, dalla quale spuntavano le due ali del colletto della camicia, delle quali una era ritta e l’altra riversa ». Era un uomo trasandato, ormai, che aveva altro a cui pensare. E aveva messo su chili: « Il suo collo breve e tozzo era piantato in mezzo a due poderose spalle, già a quel tempo leggermente ricurve per l’abitudine della contemplazione. Dal tronco in giù non conservava più la esattezza delle proporzioni estetiche, e le sue gambe erano corte e grosse, paragonate al busto ed al tronco che loro erano affidati ».
Chi parla? Un giornalista dell’«Opinione», Giuseppe Torelli, che gli austriaci avevano appena espulso da Milano. Stava nella Quarantunesima delegazione e prendeva appunti. Le delegazioni dovevano cantare, una volta per una, una strofetta di «Fratelli d’Italia». I giornalisti stonavano senza ritegno. « Ho udito il conte Camillo susurrare alcuni arguti giudizi intorno alla innegabile preferenza che il canto dei brentatori e degli intagliatori meritava rimpetto al canto dei giornalisti, e, rivolgendosi allo scrittore di questi Ricordi, disse in un milanese alquanto imperfetto: “Semm tanti can ”».
Sapeva il milanese? Torino era piena di immigrati… Torelli studiò a lungo il conte. « Aveva in quell’epoca un viso fresco fresco, lievemente irrorato alle guance da un color rosa che più tardi doveva mutarsi in gialliccio dorato. Aveva gli occhi sì vivaci e pieni di tanti e così variati intendimenti, che era malagevole fissarne il carattere permanente ». E poi: Teneva nei modi il garbo aristocratico, ma privo affatto di volgari pretensioni: il più spesso parlava a mezzo labbro, e ascoltava con urbana attenzione l’interlocutore, qualunque ei si fosse: qualità questa che conservò sempre, anche divenuto celebre, anche quando si riserbava il diritto di far poi come più gli piaceva, escluse, ben inteso, le occasioni di passione e d’impeto ».
Cioè era facile all’ira. Torelli li chiama « gli impeti ». « Agli angoli esterni della sua bocca fredda e priva d’istinti incominciavano già a spuntare due sottili rughe, le quali dovevano avere per ufficio di svelare i suoi affetti nei momenti di concitazione. E invero, a chi lo ha poi studiato davvicino, niente era più facile che il prevedere i suoi impeti, solo avesse posto mente al lento raggrinzirsi e tremolare di quelle due rughe ». Quel giorno dovettero tremolargli sul serio.
Perché? « Alle ore dieci all’incirca, la processione, come uno sterminato serpente, il cui capo era a porta Nuova e la coda al fondo di Piazza d’Armi, cominciò a muoversi […] Entrati in questa via (cioè la via Nuova), e giunti alla croce formata dalla intersecazione della via dei Carrozzai, e precisamente sull’angolo ove dimora il confettiere Casanova, un movimento insolito, un susurro misterioso propagandosi dal capo alla coda del serpente, arrivò alla nostra corporazione. L’ordine della marcia fu conturbato: il nostro piccolo crocchio s’aggomitolò in capannello, e, abbandonata con poco rispetto la strofa che ci toccava, ci demmo tutti a chiedere di che cosa si trattasse. “Che diavolo è avvenuto?” “È pigliato male a qualcuno?” “Si vuole forse impedire la processione…?” ».
Che era successo? « Luigi Filippo è fuggito: la repubblica è stata proclamata in Francia », disse Cavour, « il quale nella confusione erasi da noi pochi istanti prima staccato, ed aveva favellato sommessamente con un signore… probabilmente un impiegato alla cancelleria francese ». Poco dopo Torelli lo vide che non cantava e non parlava con nessuno: « Teneva le mani in saccoccia e guardava meditabondo a terra ».