Stefano Agnoli, Corriere della Sera 14/03/2011, 14 marzo 2011
Un muro di cemento contro il rischio di «sindrome cinese» - MILANO — Controllare. Raffreddare. Confinare
Un muro di cemento contro il rischio di «sindrome cinese» - MILANO — Controllare. Raffreddare. Confinare. In quest’ordine, è il mantra che ogni tecnico di centrale nucleare ha ben scolpito nella propria mente. Ed è lo stesso mantra che gli uomini della Tokyo Electric Power Company stanno cercando di applicare in queste ore ai due reattori di Fukushima 1 e 3. Ci riusciranno? Il primo comandamento, per ora, è ben lungi dall’essere rispettato, e non è un caso che le autorità giapponesi non si sbilancino più di tanto. Una prova di serietà, non c’è dubbio. Ma anche un sintomo di grande preoccupazione. Il «pieno controllo» , spiega Giuseppe Zollino, docente di impianti nucleari a Padova, sarà raggiunto solo al verificarsi di condizioni precise: quando la temperatura e la pressione all’interno del contenitore primario inizierà a scendere; quando i sistemi di raffreddamento di emergenza funzioneranno a regime (per ora si sta iniettando acqua di mare e boro, che assorbe i neutroni che scatenano la fissione del combustibile nucleare); quando si potrà essere in grado di estrarre dal nocciolo tutte le barre di uranio. Già, le barre di uranio. Il governo giapponese ha ammesso che parte del nocciolo dei reattori potrebbe essersi fuso. Che cosa significa? Che la temperatura elevata, da qualche centinaio a più di mille gradi, avrebbe danneggiato o disallineato (o entrambe le cose) qualcuna di quelle barre spesse come un mignolo che bombardate dai neutroni producono energia e calore. Il «nocciolo» . Se così fosse, però, la situazione sarebbe pur sempre recuperabile, a patto di continuare ad applicare il secondo comandamento: raffreddare. La conseguenza maggiore, già messa in preventivo, sarebbe di non poter più utilizzare l’impianto. Un esito accettabile, se si considera che il reattore avrebbe compiuto quarant’anni tra pochi giorni e sarebbe stato comunque avviato allo smantellamento. A provocare però un brivido di paura resta quel termine, «fusione del nocciolo» , che rappresenta il peggior genere di catastrofe nucleare. Un evento assolutamente non contrastabile, come accaduto a Chernobyl e a Three Mile Island. Nel 1979, in Pennsylvania, si rischiò il disastro. Per una serie di inconvenienti tecnici, errori umani e tragici equivoci, gli operatori non capirono che invece di andare in sovrapressione l’impianto stava perdendo liquido di raffreddamento. Il combustibile nucleare si scaldò rompendo i tubi di zirconio che lo contenevano, e iniziò a fondere. Metà del nocciolo, si scoprì poi, si era disciolto nei primi momenti dell’incidente. Ma la peggior tragedia non produsse però le peggiori conseguenze, cioè la rottura dei muri di cemento del contenimento, lo sprofondamento del nocciolo fuso (il corium) nel terreno a causa di temperature fino a duemila gradi e il rilascio nell’ambiente di massicce quantità di materiale radioattivo. Insomma, qualcosa di molto simile alla «sindrome cinese» hollywoodiana: il pericolo (solo cinematografico) che il nocciolo fuso trapassi gli strati del pianeta per sbucare agli antipodi. La Cina nel caso degli Stati Uniti. Chernobyl fu invece un caso di «tempesta perfetta» : i tecnici persero immediatamente il controllo del raffreddamento e le esplosioni per la pressione dell’acqua vaporizzata e dell’idrogeno proiettarono in cielo una colonna di materiali radioattivi che i venti poi dispersero in tutta Europa. I primi ad accorgersene, figurarsi, furono gli svedesi. Ecco perché l’unica risposta alla «sindrome cinese» è quella del terzo comandamento del mantra: confinare. Contenere come a Three Mile Island, mentre a Chernobyl (preistoria nucleare) non c’era una struttura del genere. Lì, dopo l’incidente, è stato costruito in fretta e furia un «sarcofago» che ancora necessita di manutenzione. A Fukushima, dove i rivestimenti interni hanno resistito all’esplosione e la «fusione» , se c’è, pare molto limitata, si tratta di continuare a raffreddare e ventilare. Stando attenti ad evitare altre esplosioni per non danneggiare la linea di difesa estrema: qualche solido, tradizionale e affidabile metro di cemento e acciaio. Stefano Agnoli