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 2011  marzo 14 Lunedì calendario

IL SANGUE FREDDO DEI GIAPPONESI PER IL FOGLIO DEI FOGLI


Leggenda. La leggenda dice che quando la terra trema la colpa è di mumuzu, un gigantesco pesce gatto che si agita in mare e colpisce la terra con un colpo di coda. [1]

Debolezza. Il giapponese resta calmo perché è consapevole di essere solo una parte della natura e segue il corso di essa [7]. Il controllo delle emozioni è un esercizio psicofisico a cui i giapponesi vengono abituati sin da piccoli. Mostrare gioia o tristezza è segno di debolezza. [2]

Sorriso. Ai lottatori di sumo, che vincano o perdano, non è concessa né un’espressione di tristezza né un sorriso. [2]

Distacco. L’attore del Teatro Nō (genere di spettacolo giapponese nato XIV secolo) deve: «imparare a vedere se stesso come se fosse lo spettatore». [3]

Samurai. Luigi Anolli: «I giapponesi hanno storicamente impostato la loro cultura sul controllo delle emozioni. Il punto di arrivo di questa scelta culturale è il samurai, maschera impenetrabile di guerriero che ha il dovere di non lasciar trasparire nulla, avendo raggiunto un pieno controllo delle proprie passioni, delle emozioni, delle proprie debolezze». [4]

Inevitabile. Renata Pisu: «Shoganai (tanto non possiamo farci niente) dicono i giapponesi, ma questo sentimento non è considerato vile, è la passiva accettazione dell’inevitabile, la tendenza a non ribellarsi a cose che fanno parte della natura». [5].

Sublime. Nel settecento l’impotenza dell’uomo di fronte alla forza della natura era un genere artistico molto in voga. Si chiama Sublime. I suoi massimi esponenti: Caspar David Friedrich e William Turner. [6]

Unmeni. La parola Unmeni, ovvero destino, si scrive intrecciando i caratteri del movimento e della vita. [7]

Calma. L’appello del primo ministro Naoto Kan: «Mi appello a tutti i cittadini affinché mantengano la calma, e seguano le indicazioni che saranno fornite da radio e Tv». [8]

Occhiali. I parlamentari hanno aspettato in aula che la scossa cessasse. C’è chi guardava i lampadari, chi era seduto e chi stava in piedi, ma tutti erano composti. Un commesso li ha invitati solo ad allontanarsi dalle finestre. Durante la scossa Naoto Kan si è tolto gli occhiali e ha risposto nella giacca la custodia. Poi con calma sono usciti tutti in strada. [8]

Ordine. Dopo il terremoto, fiumi di persone si sono riversate nelle strade. Ordinatamente, si sono messe in fila davanti alle fermate degli autobus, ai telefoni pubblici e ai negozi sportivi. Renata Pisu: «In tanti vogliono comprare una bici per tornare a casa. Quando la linea della metropolitana di Ginza ha ripreso, la gente si è sì accalcata nei vagoni ma chi è rimasto sulla banchina non ha protestato. Ha aspettato il treno successivo e, se poi ha desistito, si è accomodato alla meno peggio nell’atrio della stazione fino all’indomani». Unica preoccupazione: i familiari. [5].

Ridere. Su Twitter da Tokyo: «I giornalisti della redazione del Japan Times stanno scrivendo i loro pezzi al computer in piedi... nel caso debbano evacuare l’edificio. Bisogna riderne o a vincere sarà il terremoto». [9]

Jishin. Alessandro Gerevini: «Per esorcizzare lo Jishin, il grande terremoto, imparano a riderci su: è un modo per imparare a conviverci». [2]

Aeroporto. Fabio La Cavera, 44 anni, dirigente di Luxottica, vive a Tokyo da quindici anni. Durante la scossa era nell’aeroporto di Narita, con la sua fidanzata (volevano farsi un weekend in un’isola del Pacifico): «Mi sono aggrappato a uno dei pilastri, ho preso qualche calcinaccio in testa ma niente di grave. Non ci sono state scene di panico. Ci hanno dato coperte e qualcosa da mangiare, siamo rimasti in silenzio ad aspettare fino a quando dagli schermi non abbiamo capito quello che è successo». [10]

Altoparlanti. A Tokyo ci sono tremila altoparlanti. [11] Servono ad avvisare la popolazione dell’arrivo di un terremoto, un tifone o del passaggio dell’imperatore. [12]

Protezioni. In un’abitazione privata: ci si ripara sotto il tavolo oppure in bagno, «l’ambiente di solito più resistente», se non si ha niente ci si protegge sotto una qualsiasi cosa rigida. È bene spalancare la porta di casa (per evitare che si blocchi) e mettersi le scarpe (solitamente in casa si è scalzi). [2]

Giornata della Calamità. Lorenzo Salvia sulla calma dei giapponesi: «Per capire il segreto, in Giappone bisognerebbe andarci il primo di settembre, “Giornata nazionale per la prevenzione delle calamità”. Ogni anno, alle nove del mattino, si tiene una grande esercitazione antisismica e viene simulato un terremoto dell’ottavo grado della scala Richter, poco meno di quello che ieri ha colpito il Paese. Vengono evacuati gli uffici e i ristoranti, viene chiesto a tutti di raggiungere i posti sicuri indicati nelle mappe, vengono organizzati ospedali da campo e posti di primo soccorso. Lo fanno da 50 anni e hanno scelto il primo settembre perché è l’anniversario del grande terremoto che nel 1923 distrusse Tokyo con più di 150 mila morti. Partecipano tutti, anche i bambini delle scuole elementari». [1]

Divertimento. Durante la “Giornata della Calamità”, ci si diverte. I bambini si arrampicano sulle scale dei pompieri e si tirano addosso secchi d’acqua. Tutti sanno che prepararsi non serve a molto ma non rinunciano a seguire le regole della prevenzione perché li aiuta a mantenere il tatamae, un atteggiamento composto in qualsiasi circostanza. [5].

Kit. In ogni casa e in ogni ufficio c’è un kit di sopravvivenza con acqua, cibo liofilizzato, elmetti, torcia, radio e medicinali di base. [13]
Piani. Scuole, uffici, stazioni, ospedali: hanno tutti dei piani di evacuazione testati periodicamente. All’Università di Waeda si svolgono ogni anno le prove generali. Gli altoparlanti avvisano docenti e studenti che devono lasciare l’edificio e tutti in fila scendono al piano terra per poi raggiungere con calma il punto di ritrovo. [1]

Casa. Nell’edilizia privata: i palazzi non possono essere costruiti uno attaccato all’altro (mezzo metro la distanza minima). Gli edifici vengono isolati, piazzando tra le fondamenta e il palazzo grossi cilindri in gomma armata in grado di attutire le scosse. Oppure i friction pendulum (pendoli ad attrito), come quelli usati nelle nuove casette dell’Aquila. Lorenzo Salvia: «Poi ci sono altri piccoli trucchi aggiuntivi: per impedire incendi o allagamenti i tubi dell’acqua e dell’elettricità sono collegati a terra in modo flessibile, a prova di rottura. Le porte e le finestre hanno l’architrave mobile per evitare spaccature così come i vetri sono infrangibili, grazie alla cosiddetta mescola a maglia. Le strutture esterne vengono avvolte in una rete di fibre metalliche o di carbonio, per impedire che si stacchino frammenti pericolosi per i passanti. Ed in ogni caso il progetto deve prevedere una pianta simmetrica e senza sporgenze magari belle ma pericolose. [1]

Danni. Le compagnie di riassicurazione, quelle che aiutano gli assicuratori ad assorbire le richieste rivendicate dai clienti finali, sono state le più penalizzate. I tre colossi europei hanno subito perdite consistenti: Munich Re -4,28%; Swiss Re -3,54 e Hannover Re -5,28%. La devastazione avrà un impatto di circa il 5% sui bilanci societari: «Un massimo di 2 miliardi di dollari per ogni compagnia», secondo Nikolaus von Bomhard. Dieci miliardi in tutto. Molto meno dei dieci miliardi sborsati per Katryna a Néw Orleans. Il calcolo dei danni non può considerarsi ancora definitivo. La catastrofe ha interessato vari settori assicurati: l’industria marittima, gli immobili, l’aviazione, le raffinerie, danni alle persone, gli incendi e lo spegnimento delle centrali atomiche. [14]

Cinque anni. I giapponesi sono inclini a dimenticare. Una volta passata la catastrofe «ricominciano tutto da capo ma non progettano mai per un arco superiore ai cinque anni. È come se l’aspettativa di vita fosse di cinque anni» (Imasao Kunihiro, antropologo). [5]

Errori. Il professor Pakayoshi Aoki, ingegnere, arrivato da Tokyo all’Aquila subito dopo il terremoto di due anni fa: «Sono qui per imparare dai vostri errori». Lorenzo Salvia: «Non ci voleva credere, il professore, che in Italia si costruisse ancora così». [1]

Lapidi. «Tre anni fa i ricercatori dell’università di Kanazawa hanno messo a punto un progetto per rendere antisismici i cimiteri. Le strutture adottano gli stessi cilindri di gomma usati per le fondamenta dei palazzi, persino le lapidi hanno un sistema di fissaggio mobile, in modo da oscillare senza spaccarsi. Il primo cantiere, dimostrativo, è partito pochi mesi fa alla periferia di Tokyo. I lavori non sono ancora conclusi, chissà se ieri ha retto». [1]

Esitazione. Maestro Zen: «Se cammini, accontentati di camminare. Se stai seduto accontentati di stare seduto. Ma soprattutto non esitare». [5]
(a cura di Jessica D’Ercole)

[1] Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 12/3; [2] Alessandro G. Gerevini, Corriere della Sera 12/3; [3] Marco Belpoliti, La Stampa 22/12/2010; [4] Giulio Divo, Macchina del Tempo, giugno 2003; [5] Renata Pisu, la Repubblica 12/3; [6] Massimiliano Parente, Il Giornale 12/3; [7] Nicholas Kristof, la Repubblica 12/3; [8] Ilaria Maria Sala, La Stampa 12/3; [9] Corriere della Sera 12/3; [10] l.l., la Repubblica 12/3; [11] [Fernando Mezzetti, quotidiano.net 12/3; [12] Corriere della Sera 7/2/2002; [13] R.Gi, La Stampa 12/3; [14] Marco Lo Conte, Il Sole 24 Ore 12/3