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 2011  marzo 12 Sabato calendario

VIVERE IN UNA CAPITALE CHE NON SMETTE DI TREMARE - LA TERRA

trema quasi tutti i giorni in Giappone; scosse leggere che nemmeno te ne accorgi se sei per strada o in metropolitana, scosse che fanno tintinnare i vetri delle finestre se sei in casa.

O che ti cullano dolcemente se sei a letto. Scosse che riesci addirittura a vedere se sei in campagna dove il terremoto non incute tanto timore perché si fa spettacolo della natura, si scorgono ondulazioni che attraversano il terreno come onde del mare, procedono attraverso la terra solida come se fosse acqua. Ma se sei in città, in casa o per strada, quando l´asfalto o il pavimento sono percorsi da queste onde, allora la sensazione è di panico. Un panico calmo, programmato, alla giapponese. Per questo a Tokyo in tutte le abitazioni è obbligatorio avere il proprio kit anti-terremoto: una torcia elettrica, un elmetto, una borraccia per l´acqua, dei viveri in scatola. In genere lo si tiene vicino alla porta d´ingresso, così ogni volta che esci o rientri sei costretto a pensare che la terra potrebbe tremare. Quando? Non si sa, ma bisogna essere preparati, se la scossa è piuttosto forte bisogna chiudere il gas e l´elettricità, scendere in strada e avviarsi verso il centro di raccolta del proprio quartiere.
Tutti in teoria devono partecipare alle esercitazioni anticatastrofe che si svolgono il primo di settembre di ogni anno per commemorare il grande terremoto del Kanto del 1923, quando perirono più di centomila persone. La gente si diverte durante questa giornata di esercitazioni, specie i bambini che si arrampicano sulle scale dei pompieri, si tirano addosso secchi d´acqua, affollano gli stand dove si sperimentano varie situazioni di pericolo. Ma è un´allegria che maschera una insicurezza profonda perché tutti i giapponesi sanno che il kit e le esercitazioni non servirebbero a niente se mai dovesse arrivare un forte terremoto, tipo uno di quelli che vengono simulati alla Casa della Scienza Sismica dove vengono riprodotti una decina dei più famosi e devastanti terremoti della storia del Giappone, da magnitudo cinque fino a magnitudo sette, più leggeri quindi di quello che ha colpito ieri e che era atteso da decenni.
Tutti i giapponesi sanno che prepararsi non serve a molto però non rinunciano a seguire le regole della "prevenzione del terremoto", una sorta di cerimonia che aiuta a mantenere il tatemae, cioè un atteggiamento composto in qualsiasi circostanza, anche di fronte alle catastrofi naturali. La natura è mutevole e questo senso del mutamento costante è stato interiorizzato, come spiega Imasao Kunihiro, un antropologo culturale che tenta di capire le motivazioni psicologiche dei giapponesi, abitanti di una terra che trema ogni giorno, disposti a seguire le istruzioni per prevenire i danni causati dal terremoto ma inclini a dimenticare tutto una volta passata la tempesta. «Ricominciano da capo ma non progettano mai per un arco di tempo più lungo di cinque anni», sostiene Kunihiro «il che rende molto precaria la loro esistenza. E´ come se anche l´aspettativa di vita fosse di cinque anni, un tempo breve per vite precarie». Shoganai, dicono i giapponesi, che equivale a «tanto non possiamo farci niente» e in Giappone, dice Kunihiro, questo sentimento non è considerato vile o disfattista ma è la passiva accettazione dell´inevitabile, la tendenza a non ribellarsi a cose che fanno parte della natura, retaggio storico di una nazione che ha sempre dovuto piegarsi a forze come tifoni e maremoti. Ma per Kunihiro è anche manifestazione del potere politico che ha condizionato i cittadini a accettare passivamente la loro situazione. «Insegnano alla gente che una delle misure da adottare in caso di terremoto è andare sotto un tavolo, una scrivania o altro e nessuno ride, la prendono per buona, ovvero la ignorano fingendo di prendere sul serio questa come altre stupide indicazioni».
Ma dopo decenni di attesa del grande terremoto al quale in teoria dovevano essersi preparati, se mai prepararsi a un´eventualità del genere sia possibile, cosa faranno oggi, domani, i giapponesi? Da sempre vivono nella precarietà, nel loro inconscio è radicata la consapevolezza dell´inevitabilità della fine dell´abbondanza, della breve età dell´oro che li ha visti come aspiranti a diventare il Numero Uno dell´economia mondiale. Forse sarà proprio questa catastrofe a rimetterli in carreggiata almeno per i prossimi cinque anni, fedeli alla loro massima di vita ancestrale che è quella del "qui e ora" che significa impegnarsi nel lavoro, come dice un Maestro Zen essere del tutto aderenti al fare: «Se cammini, accontentati di camminare. Se stai seduto, accontentati di stare seduto. Ma soprattutto non esitare».