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 2011  marzo 13 Domenica calendario

La Lega vuole la sua parte di nomine nelle imprese a partecipazione statale. Non sorprende. L’anno scorso, dopo il successo alle regionali, Umberto Bossi affermò il diritto della Lega a insediare i suoi uomini nelle banche del Nord

La Lega vuole la sua parte di nomine nelle imprese a partecipazione statale. Non sorprende. L’anno scorso, dopo il successo alle regionali, Umberto Bossi affermò il diritto della Lega a insediare i suoi uomini nelle banche del Nord. Il sindaco di Verona e il governatore del Veneto lo presero in parola cercando di intervenire sulle fondazioni di Unicredit e sulla stessa banca: una forzatura maldestra, cui peraltro sono seguite mosse di inserimento più rispettose degli statuti, e più efficaci. Alcune preoccupazioni leghiste erano serie: l’eccesso di burocrazia, la stretta sul credito, il ruolo dei soci libici. Ma non vennero confortate da proposte di governo sulla regolazione bancaria e sui movimenti transfrontalieri dei capitali, specialmente dei fondi sovrani. In precedenza, la Lega aveva indotto alle dimissioni dal consiglio dell’Eni il «suo» economista Dario Fruscio, fiero oppositore dei contratti per il gas russo sotto l’egida di Bruno Mentasti, il mediatore prescelto da Berlusconi e Putin, come rivelò un alto dirigente di Gazprom allo sbalordito Vittorio Mincato, allora capo dell’Eni. Bossi sacrificò l’amico perché la ragion di partito sconsigliava di irritare troppo il premier. Bossi non spinge per le privatizzazioni e subordina le residue partecipazioni statali alla posizione della Lega sulla scacchiera politica nazionale. Per lui, che Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, le banche siano quotate in Borsa non conta troppo. Né sembrano turbarlo i riflessi internazionali delle scelte di queste società. E ora proprio su Finmeccanica, la più sensibile, punta Bossi sponsorizzando alcuni manager nella corsa alla suddivisione dei poteri di Pier Francesco Guarguaglini, presidente e amministratore delegato uscente. Ricordate? Alle regionali la Lega voleva la Lombardia oppure due regioni la cui somma fosse equiparabile al mercato del potere. Oggi, rinfoderata la spada delle elezioni anticipate, Bossi chiede un altro premio: la multinazionale italiana della difesa. Vale questa come una Lombardia o come un Veneto? Certo, annettendosela, la Lega depotenzierebbe Gianni Letta, l’eterno garante romano nelle nomine. Ma la politica è anche governo. E allora ci si deve chiedere come si muoverebbe nel mondo una Finmeccanica di obbedienza leghista. La risposta coinvolge il premier e i ministri dell’Economia, della Difesa e degli Esteri. Ieri Bossi simpatizzava per la Serbia di Milosevic; oggi Maroni invita gli Usa a darsi una calmata sulla Libia, e forse non a torto. Ma Finmeccanica? Certo, fa acquisti e dà lavoro in Italia; ha sedi nel Varesotto. Ma dovrebbe anche decidere quali attività cedere e quali esaltare per promuovere le eccellenze in Italia, ben sapendo che gli altri trampolini sono in Gran Bretagna e negli Usa e non nelle corporazioni aziendali interne. Realpolitik per realpolitik, esistono imprese parastatali con impatti sociali più diffusi, dai quali la Lega potrebbe trarre le sue utilità, e con impatti strategici meno delicati di quelli di Finmeccanica. Non è questa la filosofia delle nomine che il Corriere tiene ferma. Ma se i partiti di governo vogliono proprio regredire alla Prima Repubblica, anche in questo c’è modo e modo. mmucchetti@corriere. it © RIPRODUZIONE RISERVATA