Sergio Rizzo, Corriere della Sera 13/3/2011, 13 marzo 2011
ROMA —
Che negli ambienti di governo si faccia il nome di Massimo Ponzellini come futuro timoniere della tremontiana Banca del Mezzogiorno non può essere giudicata una sorpresa. Non tanto perché sia ormai pacifico che l’ex giovane manager prodiano dell’Iri è tenuto da tempo in palmo di mano da Giulio Tremonti, il quale già nel 2001 l’avrebbe voluto al ministero dell’Economia e poi gli ha consegnato prima Patrimonio spa e quindi il Poligrafico dello Stato. Ma neppure perché, grazie alla proprietà transitiva, l’ex vicepresidente bolognese della Banca europea per gli investimenti sia entrato nelle grazie di Umberto Bossi al punto da farsi battezzare in questo modo dal capo del Carroccio: «Qualche amico la Lega lo ha alla Banca popolare di Milano. Ponzellini lo abbiamo nominato noi» . C’è infatti di più. C’è la prospettiva che anche le banche popolari, e in testa a tutte proprio quella di Milano, siano della partita insieme alle Poste e magari ad altri istituti di credito come le banchette cooperative. Chi, allora, meglio di Ponzellini per gestire una Banca del Mezzogiorno così composta, che per giunta avrà una forte impronta nordista ? Basta dire che la futura banca altro non è che il Mediocredito centrale: ex istituto del Tesoro «ripubblicizzato» (Unicredit lo vende alle Poste, mantenendo un’opzione per riacquistare il 10%) al quale verrà cambiato nome. E si dà il caso che il Mediocredito gestisca il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, il 70%delle quali si trova al Centro Nord. Curioso, no? Per quanto nemmeno politicamente sorprendente, l’eventuale arrivo alla Banca del Mezzogiorno di uno dei commensali dell’ultima cena degli Ossi di Calalzo di Cadore con Bossi e Tremonti sarebbe davvero l’unica vera sorpresa della nuova tornata di nomine pubbliche. L’unica, se si eccettua il possibile ingresso dell’ex amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo nel consiglio dell’Eni come amministratore indipendente. Una posizione di seconda fila, ma occupata da un nome pesante come un macigno. Per il resto, prepariamoci alla solita scena. Assisteremo al terzo mandato di Fulvio Conti all’Enel e di Paolo Scaroni all’Eni? Possibilissimo. Come non è affatto improbabile che alla Finmeccanica venga confermato Pier Francesco Guarguaglini, il quale ha appena festeggiato i suoi 74 anni. Resterà magari con il ruolo di presidente affiancato da manager interni come Giorgio Zappa, Giuseppe Zampini o Giuseppe Orsi, come ha ipotizzato una settimana fa su questo giornale Mario Sensini? E i presidenti di Eni ed Enel, anche quelli finiranno per essere rinnovati nonostante le pressioni della Lega per avere una poltrona di peso anche lì? Chissà. Roberto Poli (Eni) e Piero Gnudi (Enel) sono coetanei ed entrambi stanno seduti su quelle poltrone da nove anni. Ma fra i due c’è qualche differenza. Poli è stimatissimo da Berlusconi, al punto da avere anche un posto nel consiglio di amministrazione della Mondadori. Gnudi è invece considerato più vicino al suo conterraneo Pier Ferdinando Casini, nove anni fa presidente della Camera e ora invece all’opposizione. Fin troppo facile ipotizzare chi dei due verrebbe sacrificato a Bossi se proprio fosse necessario. Anche perché non è detto che vada in porto il disegno della Lega: mettere le mani sulle Poste. L’amministratore delegato Massimo Sarmi, anch’egli ininterrottamente sullo stesso scranno da nove anni, è stato collocato lì nel 2002 per volontà dell’attuale nemico giurato di Berlusconi. Ovvero, Gianfranco Fini. Ma con il tempo ha trovato il modo di crearsi altre sponde. Tanto a sinistra, quando era necessario, quanto a destra. Soprattutto ha stretto un’alleanza di ferro con la Cisl, organizzazione sindacale potentissima alle Poste. Non a caso il presidente Giovanni Ialongo è l’ex segretario dei postali di quella organizzazione sindacale. Non è quindi da escludere che Sarmi sia avviato a battere il record del quarto mandato consecutivo, nonostante la Lega abbia rivendicato il suo posto. Per chi? Il loro candidato è l’amministratore delegato della Consip Danilo Broggi. Ma c’è pure chi immagina sofisticate variazioni sul tema, tipo l’ex direttore generale della Rai e attuale amministratore delegato di Terna Flavio Cattaneo (che però difficilmente si muoverà), o l’intraprendente presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, apparso anche come protagonista negli spot televisivi del suo istituto. Suggestioni. Ma anche se diventassero realtà, la sostanza non cambia. Il rituale è identico, ingessato ormai da dieci anni. Perché è da un decennio ormai che a decidere sono sempre le stesse persone: il governo di Silvio Berlusconi e il suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel ruolo di azionista. Nel breve intervallo di due anni del centrosinistra, fra il 2006 e il 2008, il governo di Romano Prodi non volle fare le nomine delle grandi holding pubbliche pur avendone tecnicamente la possibilità. Investito dalle polemiche sollevate dal centrodestra ancor prima che potesse decidere, il ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa, scomparso a dicembre del 2010, rinviò le assemblee a dopo le elezioni. Restituendo così la palla a Tremonti. E da un decennio anche i destinatari di quegli importanti incarichi, in un Paese con una classe dirigente sempre più vecchia, sono sempre gli stessi. Il mercato ama la stabilità, si dice. Così al massimo, nel gioco della lottizzazione, ci si scambia le poltrone dei comprimari. Passando da un consiglio all’altro. Senza sapere perché, né di chi sia davvero la regia di certi spostamenti. Ma con il sospetto che una regia ci sia, e non molto chiara. Forse più che un sospetto. Sergio Rizzo