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 2011  marzo 13 Domenica calendario

WASHINGTON —

Il destino dei ribelli non dipende più solo dai loro gesti. Con i lealisti all’offensiva, la speranza — scarsa — è riposta sulle poche armi a disposizione e su un possibile intervento straniero, magari francese. Il generale Kalifah Aftah, tornato dall’esilio in Usa per coordinare i ribelli, è consapevole di cosa possa fare Parigi. Nell’ 87, le forze libiche e quelle dei ribelli ciadiani furono scompaginate dai raid francesi. Con le Operazioni «Manta» e «Sparviero» , l’Eliseo riuscì a salvare gli alleati locali in quella che venne ribattezzata come «la guerra delle Toyota» per l’uso massiccio delle jeep armate. Gli stessi mezzi nelle battaglie di oggi. L’umiliazione patita all’epoca ha spinto il Colonnello ad affidarsi a un numero ristretto di unità scelte — guidate dai figli— Khamis e Mutassim — e da qualche ufficiale di obbedienza cieca. Circa 10 mila uomini affiancati da un numero imprecisato di mercenari e da alcuni clan, costretti a servire il regime. Come gli Al Ahsoun e gli Awlad nella Sirte. In virtù della superiorità di mezzi, la Guida può davvero puntare alla riconquista dell’Est sempre che non si materializzi l’intervento esterno. Azioni mirate che prevedono: distruzione delle piste dell’aviazione; imposizione di una no-fly zone reale; attacchi contro le colonne mobili; blocco navale; neutralizzazione e disturbo degli apparati di comunicazione (comprese radio e tv); assistenza ai ribelli con l’invio di «consiglieri» . Per gli insorti l’alternativa è una lunga guerriglia. L’estensione del territorio li aiuta, la mancanza di montagne li penalizza. Saranno obbligati ad agire nei pochi centri abitati con palazzi, moschee, vicoli trasformati in avamposti. I ribelli hanno kalashnikov e lanciagranate a sufficienza per questo tipo di tattica. Se non bastano, confezioneranno le «joulateena» , gli ordigni dei pescatori di frodo usati nelle prime ore della rivolta. Bengasi — circa un milione di abitanti — può trasformarsi in un bastione difficile da prendere a meno che Gheddafi non voglia fare una strage. Visto quanto è accaduto a Zawiya è un’ipotesi da non escludere. Oppure il colonnello opterà per lo «strangolamento» attraverso l’assedio. Altri gruppi insurrezionali possono cercare rifugio in aree remote dalle quali lanciare incursioni, a bordo dei pick up, contro postazioni isolate. Per i ribelli diventa fondamentale creare un network clandestino nell’Ovest — gli islamisti sapranno dare suggerimenti — e mantenere libertà di movimento a Est lungo il confine con l’Egitto che, in questo caso, è la nuova retrovia. Non è un caso che insorti e lealisti si siano contesi l’appoggio delle tribù egiziane che vivono lungo la frontiera. Molto importante anche la regione meridionale, dove vivono Tuareg e Tebou, i signori del deserto e padroni di mille traffici. Voci raccontano, poi, della presenza di istruttori stranieri accorsi a dare una mano alla rivoluzione. Si è parlato di francesi, inglesi e americani. Ma anche degli specialisti egiziani dell’Unità 777. Scenari che ricordano l’Afghanistan ma anche la lotta contro l’Italia colonialista. I ribelli si ispirano a Omar Al Mukthar, protagonista della rivolta del 1911 e abile guerrigliero. Di giorno comanda il più forte, ma la notte appartiene ai ribelli. Le enormi distanze allentano le capacità di controllo. Gli impianti petroliferi diventano obiettivi, le strade sono il terreno per agguati. Spunteranno le micidiali bombe artigianali, già viste in Iraq e in Algeria. Una campagna logorante che non lascia spazio a scelte. Come diceva Al Mukhtar: «Vinceremo o moriremo» . Guido Olimpio (— ha collaborato Farid Adly) © RIPRODUZIONE RISERVATA