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 2011  marzo 12 Sabato calendario

Quelli che credono di essere Flaiano o Maccari - Caro Granzotto, aveva davvero ra­gione Oscar Wil­de quando dice­va: «Non discute­re mai in pubbli­co con un creti­no, perché il pub­blico potrebbe non capire la dif­ferenza! »

Quelli che credono di essere Flaiano o Maccari - Caro Granzotto, aveva davvero ra­gione Oscar Wil­de quando dice­va: «Non discute­re mai in pubbli­co con un creti­no, perché il pub­blico potrebbe non capire la dif­ferenza! ». Un ar­ticolo di Giulio Meotti affronta il problema della nobile ar­te dell’offesa gratuita­a personaggi pubbli­ci utilizzando loro veri o presunti difetti fi­sici, arte in cui sono campioni esponenti della sinistra, vera o fasulla che sia. Meotti riporta correttamente la teoria pseudo­scientifica di Cesare Lombroso, ma Lom­broso non aveva intenzioni diffamatorie: pensava (sbagliando) di aver scoperto che certi criminali avessero caratteristiche fi­siche specifiche, soprattutto nel viso e nel­la conformazione cranica, che non si ri­scontravano nelle persone normali. I no­stri eroi sinceramente democratici, inve­ce, fanno dello sberleffo e della cattiveria gratuita un uso «politico», attaccano l’av­versario colpendo basso. Quando Umber­­to Eco paragona Berlusconi a Hitler, quan­do Furio Colombo definisce «minimini­stro » e D’Alema «energumeno tascabile» Brunetta, quando Vauro rappresenta Fiamma Nirenstein come un mostro e le piazza sul petto la stella di David, il fascio littorio e il simbolo del Pdl, si fa giornali­smo o si alimenta la fabbrica del fango? Quando Travaglio definisce Belpietro «via col mento» e Sallusti «zio Tibia», quando Camilleri afferma che la Gelmini «non è un essere umano», è giornalismo d’alta scuola o cretineria allo stato puro? Non possiamo metterci sul loro infimo pia­no e ripagarli con la stessa moneta. Meglio ascoltare il consiglio di Wilde, pubblicizza­re le loro miserabili invettive e lasciare il giudizio ai lettori e agli elettori. Però, che pena! Renato Solazzi e-mail Se ricordo bene c’è un libro di Bruno Caruso titolato, da una considerazione di Flaiano, Credono di essere noi . È riferito ai tardi e scal­manati frequentatori della Via Veneto post­dolce vita e del Caffè Rosati in Piazza del Po­polo dopo che per ragioni varie, non ultima quella anagrafica,l’abbandonasse un cena­colo intelligente e autoironico che illuminò di sé la Roma degli anni Sessanta. Ecco, caro Solazzi: Vauro, Eco, Travaglio, Furio Colom­bo, Camilleri e compagnia bella credono di essere dei Longanesi, dei Flaiano, dei Macca­ri, dei Gadda, dei Giovannino Russo, dei Vin­cenzino Talarico, dei Carlo Laurenzi e dei Carlo Mazzarella, formidabili coniatori di scherzosi eppur micidiali soprannomi. Glie­ne scelgo una manciata fra i cento: «Sciupo­ne l’Africano » (Emilio Fede, per via delle sue imperiali note spese di inviato nel Continen­te nero), «Una lacrima sul video» (Sergio Za­voli), «L’antico tastamento» (Francesco Trombadori, per il suo vezzo di azzardare, in età più che matura, quel «palpeggiamento concupiscente»che è l’incubo del repubbli­cone Giuseppe D’Avanzo), l’«Incantatore di sergenti» (Filippo de Pisis, che aveva un de­bole per le giovani reclute), «Picassata alla siciliana» (Renato Guttuso), il «Dandy caria­to » e «Pancia competente», riferiti a perso­naggi i cui nomi taccio. Quei tizi che vorrebbero imitarli, essere loro, e che tanto le fanno pena, caro Solazzi, sareb­bero stati definiti da Ennio Flaiano (non da me,sia chiaro.Non mi permetterei mai)cre­tini sì, ma di quelli illuminati da lampi di im­­becillità, lampi rappresentati dai fessissimi quando non triviali nomignoli che riescono a escogitare. A proposito dei quali e visto che siamo in argomento, torna alla mente il so­prannome che l’avvocato Agnelli - il quale quando voleva ci andava giù deciso - forgiò per uno dei personaggi da lei citati e la cui identità le lascio indovinare: «checca afga­na ». Di un altro, che aspira a essere un Leo­nardo Sciascia nazional popolare, gira nel villaggio delle patrie lettere questo: «sciascio­lino nella scarpa». Non male, anche, «trava­glio di bile »,a dimostrazione che se l’arte del nomignolo è ancora ben viva, non trova spa­zio nel circolo dell’antiberlusconismo. Paolo Granzotto