MIRELLA SERRI, Tuttolibri-La Stampa 12/3/2011, 12 marzo 2011
In quel salotto si fece l’Italia - Due boccolotti neri ne incorniciano il volto paffutello, lo sguardo è ironico e intenso: così l’amico pittore Francesco Hayez rappresenta la contessa Clara Maffei
In quel salotto si fece l’Italia - Due boccolotti neri ne incorniciano il volto paffutello, lo sguardo è ironico e intenso: così l’amico pittore Francesco Hayez rappresenta la contessa Clara Maffei. Non a caso la nobildonna, conosciuta in tutta Milano, veniva chiamata Clarina: era esile e minutina. Ma la piccola contessa, in contrasto con il suo diminutivo, fu un personaggio di gran peso nella vicenda risorgimentale e di notevole statura intellettuale. Il suo salotto, tra tutte le dimore patrizie che furono culla di moti liberali, fu il cenacolo più noto della penisola. Durò ben 52 anni e contribuì a lastricare la strada che avrebbe portato all’Italia unita. Nelle sale ben arredate della Maffei non solo ci si impegnò alacremente per la causa patriottica, rischiando la tortura, la prigionia, la vita; in quella fucina di discussioni, di elaborazioni culturali, di giornali – come il Crepuscolo fondato nel 1850 da Carlo Tenca – si lavorò anche per gettare le basi di un’idea di nazione capace di cementare le diversità della penisola. Clara raccolse fondi, organizzò fughe in Piemonte e in Svizzera, distribuì moschetti e pistole a scrittori, giornalisti e artisti, convinta che il loro apporto alla causa risorgimentale fosse determinante. Come emerge dal suo carteggio con il giornalista e scrittore Tenca, il compagno della sua vita, gli intellettuali si ponevano come i nuovi «mediatori» tra il ceto politico emergente e gli esponenti delle classi borghesi o popolari che avvertivano prepotenti le esigenze di modernità e di avvicinamento all’Europa. Abile tessitrice di legami e di rapporti, Clarina, consapevole che «fatta l’Italia bisognava fare gli italiani», si applicò alla creazione di una palestra di intelligenze che elaborassero una coscienza e un’identità nazionale in quel disarmonico puzzle che era lo Stivale. «Sul finire dell’inverno 1850, feci una cara conoscenza, quella della contessa Clara Maffei […] che aveva allora 36 anni», annota entusiasta del suo nuovo incontro il non ancora ventenne Giovanni Visconti Venosta, futuro deputato del Regno d’Italia. «Era una donnina […]più che bella, elegante, di maniere distinte». Colta, appassionata lettrice, di notevoli capacità dialettiche, non era solo in grado di animare una garbata conversazione ma anche di «infiammare gli animi»: così la descriveva il nobile che frequentava, insieme al fratello maggiore Emilio, il salotto nuovo di zecca della Clarina. Nuovo come locazione ma già noto per la sua intensa attività nella città lombarda. La casa, fresca di pittura, in un elegante palazzotto settecentesco in via Bigli 21, accoglieva, come la precedente abitazione in corsia dei Giardini, dalle otto di sera in poi un gran via vai di dame in stola al braccio di gentiluomini in abito scuro. Ma non si trattava di ospiti di serate mondane, erano intellettuali-cospiratori, volitivi e determinati sostenitori dell’indipendenza dallo straniero. L’edificio si trovava a un tiro di schioppo da via Andegari, dove risiedeva Tenca, ed era la seconda dimora della nobildonna dopo la separazione dal poeta e scrittore Andrea Maffei. Il primo rifugio – dopo l’addio al biondo scrittore avvenuto con il sostegno e il consiglio dell’amico Giuseppe Verdi – era stato tra ville immerse nel verde dietro eleganti cancellate in ferro.[...] Ad accomodarsi tra le trine e i tavolini intarsiati di Clarina, molto stimata da Alessandro Manzoni e da Verdi, furono le personalità emergenti della cultura europea. A dar lustro alle sue serate tra i primi vi fu Honoré de Balzac. Il cicciottello narratore in Italia era circondato da una pessima fama. Era inseguito dai creditori, sonnecchiava su tutti i divani su cui posava le sue abbondanti terga, era considerato sciatto e poco elegante. Tenuto alla larga da molti blasonati, venne però accolto dalla Maffei che vide in lui un importante intellettuale di riferimento. Per Balzac la sua casa era sempre aperta, persino al mattino, appuntamento concesso solo ai più intimi, perché permetteva gran confidenza. [...] La Maffei, tra i suoi ospiti, ebbe anche Franz Liszt accompagnato dalla discussa amante Marie d’Agoult, entrambi protagonisti di una storia che aveva messo a rumore tutti i salotti d’Europa. La contessa Marie aveva lasciato marito e figli per il musicista, più giovane di sei anni. Liszt, che sedendosi al piano lasciava cadere i guanti gialli in modo che le ammiratrici accorressero a raccoglierli, non attirava molte simpatie: nobili e buona borghesia meneghina gli avevano sbarrato le porte. Clara, anche nel suo caso, dimostrò di non volersi accodare all’opinione comune e aprì la sua dimora alla coppia, confermando il suo anticonformismo e la propensione a dare al suo «salone», influenzato dalle idee illuministiche, l’impronta di un luogo di riunione alla madame du Deffand o di un salotto anglosassone. Da dove nasceva questa inclinazione a percorrere strade autonome e molto particolari? Sicuramente l’educazione ricevuta aveva abituato Clarina a coltivare la sua verve più originale. Sua madre l’aveva abbandonata piccolissima e il padre, il conte Carrara Spinelli, per sfuggire ai pettegolezzi e superare un momento difficile anche dal punto di vista economico, si trasferì da Bergamo a Milano, dove divenne precettore di rampolli di grandi famiglie aristocratiche. Fu costretto a metter la figlia in collegio, presso l’Istituto degli Angeli di Verona. Clara, aiutata dal padre, ebbe un buon apprendistato letterario e non nutrì mai rancore o risentimento per la madre, anzi, vide in lei un modello di indipendenza. Lei stessa, una volta separata da Maffei, rifiutò una nuova convivenza con Tenca, nonostante le aspettative di Carlo che l’avrebbe voluta al suo fianco: «Io appartengo a me medesima», scriveva, «solo io voglio essere giudice del mio operare».