STEFANO LEPRI, La Stampa 12/3/2011, 12 marzo 2011
Ma la tragedia potrebbe far ripartire l’economia - Nell’immediato un terremoto ovviamente costa
Ma la tragedia potrebbe far ripartire l’economia - Nell’immediato un terremoto ovviamente costa. Non solo vite umane e dolore; costa, in denaro, proprietà distrutte, produzione non fatta nelle fabbriche pericolanti o crollate, giornate di lavoro perse, mentre lo Stato deve spendere di più e incassa meno tasse. Eppure, nel medio periodo all’economia potrebbe dare persino una spinta; specie nel caso di un Paese ricco e con risorse sottoutilizzate come è il caso del Giappone. Qualcosa lo hanno intuito anche i mercati ieri, rafforzando lo yen in previsione di rientri di capitali giapponesi investiti all’estero. Ma i mercati hanno la vista corta. Guardando più in là, gli economisti scorgono gente che lavora per ricostruire edifici e macchinari, soldi messi in circolo invece che tenuti in cassaforte. Di recente, alcuni di loro (tra cui per l’appunto un giapponese, Hideki Toya) hanno provato ad indagare se per caso i disastri naturali costituiscano una forma di quella «distruzione creativa» che al capitalismo è utile. Certezze non se ne sono raggiunte, conclude uno studio della Banca mondiale. Però tanto è bastato, a chi critica il concetto di prodotto interno lordo, per accusare gli statistici di inumano cinismo. In effetti il Pil non considera la distruzione dei beni (tantomeno delle vite umane) salvo per gli effetti temporanei che provoca sull’attività produttiva; e conteggia come crescita il lavoro necessario a ricostruirli. Nella Nuova Zelanda, colpita da ben due terremoti nei mesi scorsi, lo stesso governo ha provato a considerare questo effetto. Secondo le sue stime, il sisma di Christchurch nell’immediato sottrarrà l’1,5% al prodotto lordo neozelandese, ma «dal 2012 si registrerà un significativo impulso agli investimenti residenziali, commerciali e in infrastrutture» con calo della disoccupazione e perfino qualche rischio inflazionistico. Conforta, sempre dal punto di vista rudemente economico, l’esperienza del Giappone stesso dopo il terremoto di Kobe, 16 anni fa, 6.500 morti. Nell’immediato, i titoli quotati alla Borsa di Tokyo persero un quarto del loro valore; nel giro di pochi mesi tutto tornò come prima. La produzione industriale del Paese calò del 2,6% nel mese del sisma, però nel giro dei due mesi successivi recuperò già il 3,2%. Sendai, colpita ieri, è meno importante di Kobe, soprattutto meno popolata. Tuttavia, chi conosce quella città sostiene che non è mai tornata come prima. Per il Giappone nel suo insieme, la differenza dal 1995 è che ha meno fiducia nel suo futuro. Da troppo tempo si prolunga un ristagno economico a cui si trovano diversi motivi, invecchiamento della popolazione, chiusura all’immigrazione, inefficienza del sistema politico. La finanza pubblica è in condizioni pietose, con un debito a livello record, vicino al 200% del prodotto lordo. Il rovescio della medaglia è che sia le imprese sia le famiglie giapponesi hanno molti soldi da parte. Il sisma potrebbe fare da frustata, dolorosa ma utile, quanto assestare un duro colpo a un Paese che già langue; e forse possono, meglio dell’economia, dircelo la politica e la psicologia.