4 ottobre 1999
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 4 OTTOBRE 1999
Il più grave incidente nucleare dopo Cernobyl.
L’incidente di giovedì scorso nell’impianto
di trasformazione Jco di Ishigami, dove
viene trattato l’uranio usato come combustibile
nella vicina centrale nucleare di
Tokaimura (poco più di cento chilometri da
Tokyo), ha provocato la fuoriuscita di radiazioni
nucleari 20.000 volte superiori al livello
normale. Decine di operai e residenti nei
pressi della centrale sono stati contaminati.
Oltre trecentomila abitanti della zona sono
stati invitati a restare in casa. I tre tecnici dello
stabilimento hanno assunto in pochi attimi
una radioattività pari a quella provocata da
una bomba atomica (cioè 8 millisievert). Il
professor Nanao Kamada, dell’Istituto per le
radiazioni di Hiroshima, prevede che «circa
la metà delle persone esposte a oltre 4 millisievert
rischiano di morire entro 30 giorni». [1]
***
Un errore umano. Secondo i dirigenti della
Jco si è trattato di un errore umano: gli
operai della centrale che stavano miscelando
acido nitrico a uranio hanno messo troppo
uranio arricchito (16 chilogrammi invece
dei 2,4 previsti), provocando una reazione
nucleare a catena. [2]
***
Kamikaze. L’emergenza nucleare è cessata
venti ore dopo l’allarme per l’intervento di
diciotto volontari che sono entrati nell’impianto,
esponendosi alle radiazioni, e hanno
bloccato la fuga radioattiva. I tecnici ora rischiano
la vita: le tute speciali non sono in
grado di arrestare tutti i raggi mortali. [3]
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Il Giappone è al terzo posto nel mondo per
il numero di centrali nucleari (54) dopo gli
Stati Uniti (107) e la Francia (59). Privo di materie
prime e fortemente dipendente dal petrolio,
il Giappone soffrì più di altri la crisi
petrolifera del 1973, tanto che l’intera nazione
si mobilitò per ridurre la dipendenza dal
greggio, con la conversione di impianti e industrie.
Oggi le centrali nucleari forniscono
più del 30% del fabbisogno industriale di
energia. Oltre alle centrali, il Paese ha altri
impianti legati al nucleare per il trattamento
di scorie e di Mox, composti ossidati di combustibile
atomico esausto, che potrebbero essere
usati per la costruzione di armamenti. [4]
Precedenti. Nel febbraio ’91, nella centrale
di Mihama lo scoppio dei tubi dell’acqua di
raffreddamento provocò l’entrata in funzione
del sistema di sicurezza e la fuoriuscita in
mare di 20 tonnellate d’acqua con alti tassi di
radioattività; nel dicembre ’95, a Monju, avvenne
una massiccia perdita di refrigerante
in un reattore autofertilizzante; nel marzo
1997 scoppiò un incendio nell’impianto per il
trattamento di scorie nucleari sempre di
Tokaimura (l’impianto per la produzione di
uranio combustibile venne poi chiuso per il
timore che fosse stata raggiunta la massa critica,
cioè la soglia della reazione nucleare). [5]
***
L’esplosione del 1986 nella centrale di Cernobyl
ha causato la morte di 22.000 persone.
A 13 anni da quell’incidente intorno all’impianto
si coltivano pomodori, insalatina di
campo e patate che i contadini vendono al
mercato. Nelle nove centrali nucleari civili in
funzione in Russia ci sono stati negli ultimi
anni più di trenta incidenti “seri” (con un numero
di morti imprecisato) e circa ottomila
guasti “minori” (oggi dieci milioni di persone
vivono in aree contaminate). Solo nella penisola
di Kola, nell’estremo nord a pochi chilometri
dalla Norvegia, ci sono 50 sottomarini
nucleari in disuso ma con reattore ancora
“carico” e 600 milioni di metri cubi di scorie
nucleari, tra le quali una discarica a cielo
aperto; il lago di Karaciai, vicino alla città
“nucleare” di Celiabinsk-65, è intasato di materiale
radioattivo, ecc. Secondo le rivelazioni
fatte da due ufficiali di Marina divenuti
ecologisti convinti solo la flotta di sottomarini
atomici comporta per la Russia di oggi «un
rischio equivalente a 100 Cernobyl». [6]
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A tutt’oggi non esiste un solo reattore nucleare
al mondo in grado di garantire la sicurezza
assoluta, intrinsecamente impossibile.
Francesco Grianti di “Avvenire”: «Se in una
centrale a carbone accade un incidente, la
prima cosa che si fa è quella di non caricare
più il carbone; nei reattori nucleari, invece,
l’uranio non si carica gradualmente, deve essere
già tutto lì, precaricato e ammassato secondo
una particolare geometria (la famosa
pila atomica) dove si controlla solo la “fiamma”
(il flusso dei neutroni). Se per qualche
motivo il controllo salta, non è più possibile
togliere l’uranio incombusto, e tutto evolve
come già successe a Cernobyl». [7]
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Tecno-terroristi. Jessica Stern, 39 anni,
professoressa di Harvard, ex direttore della
task force della Casa Bianca per l’antiterrorismo,
sostiene che il pericolo non sono
le centrali nucleari, che hanno un grado
di sicurezza più che soddisfacente, ma il
terrorismo. Per fermare la minaccia dei
tecno-terroristi la Stern ha organizzato
l’“operazione Sapphire”, che quattro anni
fa mise in salvo mezza tonnellata di uranio
arricchito kazako che i terroristi avrebbero
usato per costruire ordigni atomici artigianali
(il fatto ispirò gli sceneggiatori del film
The Peacemaker). [8]
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Il nucleare fornisce circa il 5 per cento dell’energia
a livello globale. «Ma l’aumento dei
costi di sicurezza, l’oneroso smantellamento
degli impianti che cominciano a invecchiare,
la minaccia rappresentata dalle vecchie
centrali dell’Est a cui nessuno osa mettere
mano, il moltiplicarsi di incidenti dovuti al
“fattore umano” rappresentano un peso che
potrebbe risultare insostenibile». [9]
***
Nel 1998 erano attivi 429 impianti nucleari,
uno meno di cinque anni prima. Sempre
nel ’98 è stata avviata la costruzione di cinque
nuove centrali (due in India, due nella
Corea del Sud, una in Gappone): meno di
quelle che occorrerebbe rimpiazzare. Negli
Stati Uniti dalla fine degli anni Settanta, e
in tutti i paesi industrializzati dall’inizio dei
Novanta, non sono stati firmati nuovi ordini
d’acquisto. Il settore rischia il dimezzamento
in vent’anni: un’intera generazione di impianti
sta diventando obsoleta e non ci sono
progetti di sostituzione. [9]
***
Il mondo ha davvero bisogno del nucleare?
Tullio Regge, fisico, ex parlamentare europeo:
«Se non si trova qualche modo per evitare
l’effetto serra connesso ai combustibili
fossili, del nucleare avremo bisogno. Magari
di un altro nucleare, più sicuro, progettato
in modo diverso rispetto ai reattori attuali.
Se oggi in Europa chiudessimo di colpo
tutte le centrali nucleari causeremmo
una crisi economica gravissima». [10]
Giorgio Salvini, fisico, ex ministro della
ricerca, ex presidente dell’Istituto nazionale
di Fisica Nucleare, dice che il nucleare
prima o poi dovrà diventare la nostra principale
sorgente di energia, a causa dell’esaurimento
dei combustibili fossili. [11]
***
In Italia dodici anni fa un referendum
bandì il nucleare. Oggi sul nostro territorio
ci sono quattro centrali dismesse e oltre 23
mila metri cubi di scorie radioattive. In attesa
di decidere come sistemarle (una certa
quantità mantiene la radioattività per
trecento anni, il resto per millenni) sono
state inscatolate in enormi piscine blindate
a Casaccia (vicino Roma) e Trisaia (Basilicata)
e in container di calcestruzzo a Saluggia
(Vercelli). L’Italia ha mantenuto in
funzione una rete di rilevamento costata 6
miliardi di lire, che potrebbe essere utile
in caso di nubi radioattive provenienti, ad
esempio, dalle centrali dei paesi dell’Est,
le più insicure. [12]
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Abbiamo fatto bene a uscire dal nucleare?
Tullio Regge: «Secondo me no. Potevamo
tenerci qualche centrale, chiuderle in anticipo
tutte non è stato saggio. La prematura
fine dell’atomo non ha avuto finora conseguenze
gravi perché il prezzo del petrolio si
è mantenuto basso. Ma ora la musica cambia
[...] Non volete l’atomo? D’accordo. Ma
allora bisognava anche chiudere metà delle
centrali Enel, ormai vecchissime e perlopiù
del tipo “policombustibile”, che finiscono
per bruciare male tutto». [13]
Note. [1] “Corriere della Sera”, Stefano Citati,
“la Repubblica” 1/10/99; [2] Pierangelo Sapegno,
“La Stampa” 1/10/99; [3] “Corriere della Sera”
2/10/99; [4] Fernando Mezzetti, “La Stampa”, Marco
Panara, “la Repubblica” 1/10/99; [5] Fernando
Mezzetti, “La Stampa” 1/10/99; [6] Roberto Livi, “Il
Messaggero”; l’Unità 1/10/99; [7] Francesco Grianti,
“Avvenire” 1/10/99; [8] Matteo Persivale, “Corriere
della Sera” 2/10/99; [9] Antonio Cianciullo,
“la Repubblica” 1/10/99; [10] Piero Bianucci, “La
Stampa” 1/10/99; [11] “Corriere della Sera” 1/10/99;
[12] Francesco Grignetti, “La Stampa”, Antonio
Cianciullo, “la Repubblica” 1/10/99; [13] Giovanni
Maria Pace, “la Repubblica” 1/10/99.