Alessandro Corica, Libero 11/3/2011, 11 marzo 2011
Professori matti - C’è Mario, che è stato trasferito in una decina di licei, pesa 170 chili e sfoga la sua frustrazione sul cibo
Professori matti - C’è Mario, che è stato trasferito in una decina di licei, pesa 170 chili e sfoga la sua frustrazione sul cibo. Il culmine lo ha raggiunto quando «al termine delle lezioni, in una giornata no, sparo per sfogare la tensione un pugno all’armadietto, rompendomi il mignolo della mano destra». C’è Carmen, che si è messa in malattia perché non ce la faceva più. Non riesce a scuotersi dall’apatia: «Non ho più la forza di muovermi. La mia casa è un disastro, indumenti, scarpe, piatti, rigorosamente esposti e penzolanti dai mobili in ogni luogo». Per due volte è finita al pronto soccorso, a causa di un’aritmia cardiaca. Che, per i medici, è conseguenza della depressione. «Mi hanno rimpinzata di calmanti. Mi sento un po’ umiliata e intontita». C’è Davide, che ha una moglie di 55 anni con 34 anni di lavoro alle spalle. Ma adesso «ogni volta che prova a ritornare a scuola le riprendono attacchi di ansia e svenimenti». E poi c’è Elena, che abita in Piemonte e da un anno fatica ad uscire di casa, a causa di una colite spastica. Di origine nervosa. Lo scorso settembre non voleva più andare al lavoro, schiava di un «senso di disgusto» al pensiero «di continuare a insegnare, che pure fino a qualche anno fa era uno degli scopi principali della mia vita». I nomi sono di fantasia. Le storie sono reali. Sono alcune delle testimonianze arrivate al servizio di Orizzonte Scuola che si occupa di Dmp, disagio mentale professionale dei docenti. Dalla fine del 2010 a Milano c’è un luogo fisico per soccorrere Mario, Carmen e Elena. È lo sportello “Io ascolto” dell’associazione Diesse Lombardia, finanziato dal Pirellone. Ogni mercoledì alle richieste di aiuto rispondono Anna Di Gennaro e le stagiste Sara, Pinuccia e Silvia. Lo scopo? Sostenere i docenti che presentano sintomi di burnout. In inglese significa “fuso, bruciato”. Compromesso. E compromessa è la salute di questi prof: il 49,8% dei dipendenti pubblici che si presenta ai Collegi medici delle Asl con patologie psicologiche è composto da insegnanti. Tra il 1992 e il 2006, solo in Lombardia la percentuale di docenti con questi disturbi è raddoppiata: oggi si stima che in Italia 10mila prof soffrano di burnout. Una patologia tipica delle “helping professions”, le professioni di aiuto. Chi le esercita assorbe i problemi degli altri e fatica ad esternare i propri. I sintomi? Per gli esperti in Italia si occupa di Dmp, dal 1998, il professor Vittorio Lodolo D’Oria si va dall’apatia fino all’iperattivismo e alla psicosi e nei casi più gravi si giunge alla perdita dell’autocontrollo. A Palazzo Madama il 12 gennaio il senatore Giuseppe Valditara ha presentato un’interrogazione, perché la Dmp sia riconosciuta e parta una campagna di prevenzione. «Tutto è iniziato nel 2002, quando io stessa ho iniziato ad avere un dolore alla schiena, senza una causa fisica. Ero a terra, vicina alla depressione - spiega Anna Di Gennaro, maestra in pensione -. Mi sono presentata al collegio di verifica medica e lì ho incontrato il prof. Lodolo. Ho scoperto la Dmp e ho iniziato a fare ricerche sul tema». Ne sono nati studi, libri e, negli ultimi mesi, lo sportello. «Riceviamo appelli da tutta Italia, per telefono, via mail e di persona dice Di Gennaro -. Chiedono aiuto sia uomini sia donne: la prima mail era di un professore di Palermo». Ma cosa si può fare con storie come quelle di Mario, Elena, Carmen? «Ascoltare e far diventare consapevoli. E, in caso, consigliare un periodo di riposo. Una costante è la passione per l’insegnamento che i docenti avevano e che, a un certo punto, hanno perso». L’obiettivo è fargli tornare l’amore per il lavoro, ma anche prevenire gesti estremi. «Ricordo lo sfogo di una docente: mi ha detto che, al mattino, stava per rovesciare la cattedra contro gli alunni racconta Di Gennaro . Sentiva di essere sull’orlo di una crisi, di aver perso il controllo. L’ho obbligata a mettersi in malattia: in questi casi non si scherza».