Massimo Gaggi, Corriere della Sera 6/3/2011, 6 marzo 2011
I monaci in territorio hippy salvati dal business delle torte - I monaci camaldolesi escono uno alla volta dalle loro celle
I monaci in territorio hippy salvati dal business delle torte - I monaci camaldolesi escono uno alla volta dalle loro celle. La campana li chiama alla preghiera di mezza mattina. Sul monte dietro il convento volteggia un grosso rapace. «Aquila?» . «No, è un condor» risponde il priore. «Credo sia l’unico posto dove vivono fuori dal Sud America, in questa zona ce ne sono una sessantina. A volte apri la finestra e te ne trovi uno davanti. Tranquilli come tacchini, batti le mani e se ne vanno» . Padre Raniero Hoffman è un benedettino che vive qui, a Big Sur, da vent’anni. L’eremo che gli è stato affidato venne fondato mezzo secolo fa dai camaldolesi venuti dall’Appennino tosco-emiliano. Era il 1958. Colpiti dalla maestosa bellezza dei luoghi, decisero di provare a riprodurre la loro esperienza ascetica tra i picchi di Big Sur: un tratto selvaggio di costa californiana che aveva già cominciato ad attrarre artisti e scrittori. Come Robinson Jeffers che nella prima metà del Novecento dedicò molti suoi poemi al fascino selvaggio di questa regione che le montagne a picco sul mare avevano reso impenetrabile per secoli. Luoghi resi improvvisamente accessibili, nel 1937, dall’inaugurazione della «Highway 1» : tuttora l’unica strada, a corsia unica, di questa costa impervia. Henry Miller venne a vivere qui nel 1944 e qui scrisse alcuni dei romanzi della sua maturità. Rimase per diciotto anni. Poco dopo i monaci, nel 1960, arrivò anche Jack Kerouac. L’autore di On the Road soggiornò in un bosco non lontano dal mare, nel bungalow del poeta della beat generation Lawrence Ferlinghetti. Devastato dall’alcol, annoiato dallo spettacolo della natura, Kerouac se ne andò dopo pochi giorni ma dedicò a Big Sur il suo nuovo romanzo, il diario dei suoi incubi. Più in alto, grazie a una generosa donazione di benefattori assai poco ascetici (Harry ed Erica John, eredi della fortuna della Miller Brewing, il gigante americano della birra) i monaci costruivano il loro eremo. Il Camaldoli Hermitage è stato per decenni non solo un luogo di preghiera, ma anche un centro di meditazione— uno dei quattro della costa— aperto anche a non cristiani. Oltre ai frati, l’eremo accoglie una ventina di ospiti nelle sue celle (piccoli compound di mattoni e pannelli prefabbricati dagli arredi assai spartani). «Vengono cristiani, buddhisti, induisti, anche atei: tutti spinti quassù dal desiderio di meditare immersi nella natura, davanti all’oceano, in un silenzio totale» . E davvero nei bungalow l’unico rumore percepibile è il sibilo delle stufe a propano. Lontano tre miglia dalla strada costiera, l’eremo ha avuto contatti limitati con la controcultura degli anni Sessanta e Settanta: gli hippy e i beatnik che invasero la costa, attratti dal romanzo di Jack Kerouac ma anche da film commerciali ambientati sulla costa come The Sandpiper (Castelli di sabbia nella versione italiana, il film con Elizabeth Taylor e Richard Burton che Vincent Minnelli girò qui nel ’ 64). «Gli ultimi— ricorda padre Raniero — se ne sono andati proprio quando arrivai, vent’anni fa» . Sono rimasti, invece, vari centri dedicati a filosofie e religioni orientali. E dialogare con loro non è stato un problema per i monaci di una congregazione fondata mille anni fa proprio per mantenere vivi i rapporti con le chiese d’Oriente: gli ortodossi eredi della cristianità dell’impero bizantino. Oggi su questo lunghissimo tratto di costa— più di cento chilometri di scogliere a tre ore d’auto da San Francisco — vivono appena millecinquecento persone. Inutile cercare un villaggio di Big Sur. Solo un ufficio postale, una pompa di benzina, un piccolo emporio. Più avanti un motel. Un po’ di case e qualche resort nascosti tra gli alberi, nei canyon scavati dai ruscelli che sfociano nell’oceano. Alcune ville appartengono a stelle del cinema (da Sharon Stone a Jim Carrey) che salgono qui da Los Angeles quando hanno bisogno di sottrarsi per qualche giorno alla morsa della mondanità. In una radura, la biblioteca dedicata a Henry Miller e il suo piccolo anfiteatro d’erba sono il punto d’incontro della gente che vive lungo la costa. Ci si vede qui per discutere dei problemi comuni, ascoltare un chitarrista country o assistere a una pièce teatrale. Su uno sperone di roccia a picco sull’oceano, il Nepenthe, è ancora il ritrovo dei pochi scrittori rimasti nella zona, non troppo infastiditi da un turismo abbastanza discreto (almeno d’inverno). La capanna di tronchi d’albero appartenuta a Orson Wells e Rita Hayworth non esiste più. La comprarono nel 1944 per farne il loro nido, ma il matrimonio durò poco. Lolly e Bill Fassett, arrivati qui tre anni dopo, decisero di trasformarla in «un pavillon all’aria aperta dove gustare ottimo cibo e vini e danzare sotto le stelle» . Il covo dei bohémien della costa, il monumento di un’era finita da tempo. L’eremo è molto più in alto, tra le montagne di Santa Lucia. Padre Hoffman è orgoglioso del rapporto di collaborazione stretto con gli altri tre centri di meditazione e di studio delle filosofie orientali. Quello buddhista zen di Tassajara, il Ventana e, sulle rocce in riva all’oceano tra fonti termali calde, l’Esalen. Passa per tempio della cultura New Age, ma qui si tengono anche seminari sulla psicologia umanistica, si pratica la terapia Gestalt, si discute di ecopsicologia. I quattro istituti hanno creato un organismo, il Comitato dei Quattro venti, per discutere dei problemi comuni e organizzare la partecipazione incrociata alle loro iniziative culturali. La vita contemplativa dei monaci è stata, però, scossa qualche tempo fa da una scoperta: l’eremo stava affondando sotto il peso dei debiti. «Non siamo certo un’azienda che deve fare profitti» racconta padre Bede John Haley, uno psicologo 58enne del Kansas passato una ventina d’anni fa alla vita monastica e divenuto economo del Camaldoli Hermitage. «Prima bastava qualche donazione a coprire il gap tra le entrate — essenzialmente l’affitto delle celle ai visitatori e la vendita delle torte alla frutta del convento — e gli esborsi in continua crescita. Poi la recessione è arrivata anche quassù, le spese sono esplose e abbiamo cominciato ad accumulare deficit al ritmo di 300 mila dollari l’anno. Insostenibile» . I quindici frati di Big Sur hanno discusso a lungo sul da farsi. Hanno anche pensato di vendere tutto e trasferirsi nella vicina Monterey o a Salinas. Ma alla fine ha prevalso la convinzione che la loro missione è legata a questo luogo. «Mi sono rimboccato le maniche— racconta l’economo — e ho cominciato a tagliare le spese: esercizio difficile visto che già vivevamo all’osso. Ho sfoderato le vecchie doti di psicologo per convincere i miei fratelli ad essere ancora più parchi e più produttivi. Vede quel trattore lassù? Ai comandi c’è padre Robert. Ha 83 anni. I frati non vanno in pensione. Però c’è voluto poco per capire che non ne saremmo usciti senza un sostanziale aumento delle entrate. Qui al Camaldoli dobbiamo fare tutto da soli: acqua, generatori elettrici, gas, rifiuti. Le piogge invernali hanno fatto franare la strada che collega il monastero alla highway costiera. Ripararla è costato 110 mila dollari» . Alla fine padre Hoffman ha fatto un passo senza precedenti: ha chiamato un consulente privato e gli ha affidato il piano di ristrutturazione del convento. «Mi sono rivolto a Mark Giulieri— racconta—, perché lo conoscevamo. Fa il consultant per alcune aziende di San Francisco, ma ogni tanto sentiva il bisogno di uscire dal vortice quotidiano e veniva da noi per qualche giorno» . Mark ha messo subito gli occhi sulle rette chieste per l’affitto delle camerette ai visitatori — qualche decina di dollari al giorno, troppo poco — e sulle torte preparate da padre Zacchaeus Naegele, un ex cuoco della Guardia costiera che alcuni anni fa ha sciolto il suo matrimonio e si è dato alla vita monastica. «Mi sono trasferito qui per qualche mese» racconta Giulieri. «Un forno vecchio di mezzo secolo, poche torte, nessuna strategia commerciale: i problemi erano chiari. Li ho riversati in una presentazione Power Point proiettata ai frati. Che sono rimasti sorpresi ma hanno capito» . Oggi i frati hanno portato da cinquemila a novemila il numero di torte sfornate ogni anno che poi vengono vedute, oltre che ai visitatori, via Internet e attraverso una serie di negozi gourmet delle città vicine. «Quest’anno i conti si chiuderanno ancora in rosso— dice Giulieri —, ma adesso i frati possono farcela» .