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 2011  marzo 11 Venerdì calendario

Henry James, un americano a Londra - I fatti principali di quel­la Londra lontana, co­me tutti i testimoni dell’epoca sono con­cordi nell’affermare, stridevano per la loro piccolezza in contrasto con le dimensioni della città, e la scarsità di distrazioni e diver­timenti disponibili spingeva i più mondani ad allargare la propria cerchia di conoscen­ze, formando una società molto accessibile e per certi aspetti estremamente invi­diabile

Henry James, un americano a Londra - I fatti principali di quel­la Londra lontana, co­me tutti i testimoni dell’epoca sono con­cordi nell’affermare, stridevano per la loro piccolezza in contrasto con le dimensioni della città, e la scarsità di distrazioni e diver­timenti disponibili spingeva i più mondani ad allargare la propria cerchia di conoscen­ze, formando una società molto accessibile e per certi aspetti estremamente invi­diabile. Quali che fossero le ragioni dell’ammissione nei salotti mondani londinesi – sia che si potessero vantare ri­sultati tangibili o semplice­mente abilità degne di rispet­to – si aveva poi il privilegio d’incontrarvi alcune tra le più illustri figure dell’epoca. Così, un giovanotto arriva­to a Londra solo da qualche mese poteva già vantare d’aver incontrato Tennyson, Browning, Matthew Arnold, Carlyle, Froude, George Eliot, Herbert Spencer, Hux­ley e Mill. E di averli davvero conosciuti, non soltanto sfiorati nella folla: di aver­li sentiti parlare, e di aver persino partecipato con qualche battuta al­la conversazione. A quell’epoca era consentito un ge­nere di conversa­zione che, come i sopravvissuti insi­stono a sostenere, è oggi, nel nostro caos moderno, un’arte completa­mente sconosciu­ta. Tra cene e rice­vimenti domeni­cali, e visite in cam­pagna che si pro­lungavano ben ol­tre i week- end del­la nostra generazione, si po­nevano così le basi per amici­zie poi solidamente costruite e preservate. Forse c’era più la tendenza diffusa d’assicu­rarsi la compagnia di piacevo­li conversatori estremamen­te ben informati e capaci di spaziare su molti argomenti d’interesse generale: a van­taggio di un’atmosfera diver­sa dalla ben più informale, in­tensa e indiscriminata intimi­tà dei nostri giorni. Si legge di certi piccoli circo­li degli anni Sessanta, come il Cosmopolitan e il Century, i cui soci s’incontravano il mer­coledì e la domenica sera per discutere delle più scottanti questioni dell’attualità, e ci sembra potessero conside­rarsi ben più rappresentativi di quanto oggi sarebbe mai possibile. Ci rimane così la sensazione che qualsiasi co­sa accadesse in quei giorni lontani, sia nel campo della politica che della letteratura – allora molto più strettamen­te legate di quanto non lo sia­no oggi – fosse di fatto pro­mossa e ispirata dai membri di un gruppo. Senza dubbio le risorse di quei tempi – e con che livelli di eccellenza! – potevano contare su una mi­gliore organizzazione: e una ragione, a quanto sembra di capire leggendo le memorie di tali personaggi, stava pro­prio nella semplicità con cui veniva sancita e accettata la grandezza di certi nomi, im­posta a tutti come fosse un dogma. Una volta incoronato il re della propria cerchia d’ami­ci, a lui era riservata la più completa dedizione e lealtà. E le persone si sarebbero così riversate, unite in gruppi inse­parabili, a Freshwater (il vec­chio giardino dove oggi ci so­no le case di Melbury Road), o in altri luoghi di ritrovo lon­dinesi, continuando per me­si, se non addirittura per una vita intera, a venerare il pro­prio genio designato. Watts e Burne-Jones governavano su un quarto della città, Carlyle su un altro, George Eliot su un terzo, quasi quanto Tenny­son sulla sua isola, imponen­do di volta in volta le proprie leggi sugli adepti che li adora­v­ano con sconfinata devozio­ne. Henry James di sicuro non era tipo da accettare dogmi o da rinunciare al proprio spiri­to critico. Fortunatamente per noi, ha saputo approfitta­re non solo della curiosità in­tellettuale tipica di quegli an­ni, ma anche del suo approc­cio distaccato da straniero e del senso critico dell’artista. Se era immensamente ben di­sposto, restava pur sempre un osservatore immensa­mente attento e critico. Così capita di trovare tra i suoi ri­cordi alcuni vividi frammenti delle più grandi figure del­l’epoca e, fatto non trascura­bile, rivivono accanto a loro anche i personaggi di cui sole­vano circondarsi. Niente è più felicemente riuscito del ri­tratto di Mrs. Greville, che, «con la sua squisita benevo­l­enza e la sua innocente fatui­tà », era, ovviamente, una per­sona in carne e ossa, ma al tempo stesso si staglia come rappresentante esemplare di un certo genere d’entusiasti­ca congregazione, portatrice ormai estinta di tutta una se­rie di vezzi e che oggi, con una sfumatura di malignità – e facendoci forti dell’autore­volezza di Henry James – non esiteremmo a definire assur­di.