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 2011  marzo 11 Venerdì calendario

SCRITTORI BOCCIATI IN SCIENZA

Diciamoci l’amara verità. Su alcune questioni, fondamentali per lo sviluppo del nostro paese - piano energetico e innovazione tecnologica - noi intellettuali doniamo alla causa un contributo pari a zero. Non ci capiamo niente. Un po’ la formazione letterario-filosofica ci fa preferire gli aggettivi ai numeri, le simbologie retoriche alle analisi rigorose. Un po’ l’incresciosa situazione è dovuta alla mancanza di curiosità e di studio. Fatto sta che ogni volta che un rappresentante della vasta categoria scrittori e intellettuali dice la sua, commette imperdonabili errori. Dacia Maraini sul Corsera: «la Germania produce più del 30% del proprio fabbisogno energetico grazie al solare» (1 marzo 2009). Adesso non so se qualcuno dei lettori ha mai partecipato a un convegno di tecnici competenti in materia energetica: vi posso assicurare che quando leggono questi dati si fanno il sangue amaro. Non ci possono credere. Noi letterati, del resto, faremmo lo stesso se un matematico dicesse, che so, Dante ha scritto il Decamerone. Non gli daremmo credito. Invece, in Italia, il dato proposto dalla Maraini da incredibile diventa credibile, e induce tanti a prenderlo come riferimento. Nelle discussioni, nei blog, nelle trasmissioni televisive, ho sentito spesso «la Germania produce il 30% con il solare». Quel dato fa opinione, perché è facile (in verità è da irresponsabili), e per questo passa di bocca in bocca. Naturalmente, la Germania non produce il 30% con il solare: sarebbe meraviglioso, ma la triste realtà dei numeri ci dice un’altra cosa. La Germania, che pure è il paese che ha installato più pannelli solari pari a 3800 MW, produce con il solare solo il 2% dell’energia elettrica. Dove ha sbagliato la Maraini? Molto probabilmente ha confuso la potenza (Kw) con energia erogata (kWh). L’amara realtà dei numeri e i principi della fisica stabiliscono incontrovertibilmente che noi purtroppo consumiamo energia e non potenza. Possiamo installare pannelli solari e centrali eoliche potenti, ma se il sole non c’è o il vento non soffia, l’energia ricavata è minima. Insomma, se la correttezza dei dati è per un tecnico il primo passo per la comprensione del fenomeno, non si può dire che lo stesso procedimento valga per un letterato o un intellettuale. Ancora un esempio. Giovanni Valentini si spinse ad affermare che «la Puglia di Nichi Vendola, (è) la prima in Italia per la produzione di energia solare ed eolica, in grado di coprire il 180% del proprio fabbisogno» (“Repubblica” del 5 febbraio 2010). A leggere i dati Terna del 2008 si scopre che la Puglia produce meno del 4%. Nel 2009 la situazione è migliorata, forse si arriva al 5%, ma la Puglia produce energia con il solito (e insostenibile) carbone e il gas. Favorevole, naturalmente, alle così dette energie alternative, però come lettore mi sarei ritenuto soddisfatto se Valentini avesse detto: nonostante la Puglia produca solo il 4%, dobbiamo continuare a investire sulle rinnovabili. In questo caso si propongono ipotesi di lavoro concrete e non ci si limita solo ad abbassare l’ostacolo, dichiarando che il problema è già risolto in partenza. Mi rendo conto, fare le pulci è noioso e, poi, può capitare a tutti di sbagliare. Tuttavia, se ci indigniamo, e a ragione, quando sentiamo il nostro Premier lamentarsi (col suo consueto stile melodrammatico) di essere vittima di innumerevoli processi, e gli chiediamo di essere perlomeno preciso con i numeri, poi è necessario applicare lo stesso metodo di misura anche in altri ambiti. Insomma, la sensazione è che noi letterati manchiamo proprio di un metodo per la corretta misurazione. Nonostante molti si professino laici e seguaci di Socrate (il Protagora platonico è un elogio alla misura), su alcune questioni preferiamo saltare i numeri ostici e affidarci alle dichiarazioni religiose. Siamo moderni nello stile di vita ma retrò nei pensieri. Diamo troppo ascolto a predicatori e comici incompetenti. E poi abbiamo questa benedetta propensione all’aggettivazione: verde, sostenibile, naturale. Pronunciarli ci dà un piacere speciale. Ma alla sinistra è rimasto questo? Un aggettivo per strappare l’applauso? Ritenersi dalla parte giusta del mondo? Forse siamo solo dalla parte vecchia del mondo. Pensiamo a quanti intellettuali sono vittime del sapere nostalgico, ovvero: tutto quello che è avvenuto nel passato ha valore (perché naturale, autentico) mente il presente è sinonimo di corruzione. Può un intellettuale offendere il presente? Non dovrebbe, diciamo che però conviene. Basta dire “ai miei tempi” per vedersi garantito un posto in classifica. Dichiarare che i giovani frequentano insensatamente i centri commerciali e non leggono Tasso (Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda ) per acquistare autorevolezza. Ma la cultura , per fortuna, si muove e assume forme nuove. Un intellettuale deve essere aperto, curioso e libero dai pregiudizi. E nulla vieta che a volte non sia creativo, ma a servizio dei dati tecnici, cioè li legga e li riassuma e li divulghi con umiltà. La cultura è tutto quello che eccita la nostra curiosità, un ponte che ci permette di non essere isole solitarie. Senza cultura non c’è buona evoluzione e ci resta solo l’integralismo. È facile contestare i fanatici islamici, meno facile è capire che le posizioni integraliste sono sfumate e si manifestano ogni volta che viene meno una condivisa metodologia conoscitiva, quella che ci permette di effettuare sani scambi culturali. Perlomeno accordandosi sui dati.