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 2011  marzo 09 Mercoledì calendario

LA BATTAGLIA DI INDRO PER VENEZIA

TRA VECCHI DOGI E IL FUTURO MOSE

Sono finalmente state ripubblicate in un unico cofanetto il libro Per Venezia, plaquette che Indro Montanelli pubblicò nel 1969 allorquando raccolse una serie di quattro ampi articoli usciti nel 1968 sul Corriere della Sera, e il documentario televisivo Montanelli – Venezia, realizzato insieme al regista veneziano Giorgio Ponti, e trasmesso dalla Rai il 12 novembre del 1969. Il cofanetto porta il titolo originale Per Venezia (Marsilio, 78 pagine + Dvd, 19,90 euro) ed è curato dal documentarista e saggista Nevio Casadio.
L’impegno civile e giornalistico di Montanelli per Venezia suscitò a suo tempo numerose polemiche e feroci recriminazioni, dando vita e veri e propri comitati popolari e tecnici in difesa della Serenissima, sempre più minacciata da inquinamento, subsidenza, acque alte, incuria, spopolamento e scellerata speculazione industriale, al punto che il j’accuse montanelliano crebbe e s’impose sotto il grido di battaglia di «Venezia muore».
Scrisse Montanelli, a conclusione del suo ciclo di reportage da Venezia, senza nascondersi i fantasmi dai quali era intimamente agito: «Oggi i dogi non ci sono più, e nessuno pretende che si richiami in servizio la forca. Ma di uomini che si assumano decisive responsabilità, c’è bisogno come allora e più di allora. E credo che ce ne sarebbero, purché gli se ne dessero i poteri. Speriamo che i dirigenti romani trovino, fra un congresso di partito e una battaglia di corrente, il tempo di pensarci. Siamo, per Venezia, all’ora della verità. O adesso, o mai più».
Nel documentario di Montanelli e di Ponti si analizza con efficacia il declino di Venezia; non a caso la prima scena del documentario mostra, sui tetti delle chiese veneziane, una sorta di medico-restauratore intento ad auscultare piccoli pezzi di sculture e di guglie (aggredite e corrose dallo smog e dai miasmi delle fabbriche di Marghera) e a staccare con professionale distacco i pezzi marci e fatiscenti, proprio per impedire che possano colpire i passanti di sotto. Un incipit agghiacciante, anche a quarant’anni di distanza.
Montanelli, con il suo j’accuse, si scontra frontalmente e senza mediazioni con la classe dirigente veneziana dell’epoca, e porta il disfacimento e lo sgretolamento di Venezia all’attenzione dell’intero paese: «Non c’è tempo da perdere. E per non perderlo, la prima cosa da fare è l’istituzione di un alto commissariato per Venezia o qualcosa del genere, che tagli corto con le lentezze della burocrazia romana e con le deficienze dei poteri locali, tutti ormai condizionati da altri interessi». Ovviamente Montanelli parlava anche a nome di una storia gloriosa, la Venezia dei dogi e dei magistrati delle acque che mandavano alla forca chiunque piantasse senza autorizzazione un palo nella laguna, perché a Venezia, come dice finanche la sapienza popolare, «anche un palo fa paulo» (basta un solo palo per creare una palude).
Montanelli non si improvvisa tecnico, ma i tecnici li ascolta e li interroga, affinché si ponga fine all’incuria della Serenissima; e mostra, nel mentre dà fondo a tutta la propria indignazione “antimoderna”, lo sgretolarsi delle opere d’arte veneziane, le immense discariche a cielo aperto, i fumi tossici delle fabbriche, la desolazione di una laguna abbandonata da tutti per rincorrere la “terraferma” e il salario in fabbrica. A Montanelli probabilmente sfuggiva il dato di fatto – o non volle dargli peso – che il miracolo veneziano (naturale e urbanistico) era stato reso possibile per molti secoli da una larga e condivisa vocazione marittima e lagunare dei veneziani, e che quel miracolo non poteva continuare con la fuga dei veneziani verso Mestre e verso le fabbriche.
Tutto il declino inizia, secondo Montanelli, proprio con l’arrivo delle fabbriche: «Poco dopo la prima guerra mondiale, alcuni uomini certamente ben intenzionati pensarono d’impiantare delle industrie che assicurassero a Venezia un avvenire economico. La città non era più, come una volta, la capitale di un grande impero marittimo. Era soltanto una provincia italiana ridotta a vivere quasi esclusivamente di turismo e di artigianato». Da quel momento in poi, a furia di occupare con le fabbriche le barene, a furia di non curare i “murazzi”, e a furia di spalancare le tre imboccature di Chioggia, Malamocco e Lido, le acque alte e l’inquinamento avevano preso il sopravvento sulla città, minacciandone la sopravvivenza.
Ci furono molte battaglie e molti processi, intorno a questo impegno giornalistico e civile di Montanelli per Venezia. Eppure qualcosa si mosse: non solo nacque il “Fronte per la difesa di Venezia” a cui aderirono giovani e personalità quali Etele Pechy, Adriano Alessandri, Paolo Magrini e Giovanni Borgo, ma fu addirittura emanata, il 16 aprile del 1973, una legge speciale per la città lagunare, denominata “Interventi per la salvaguardia di Venezia”, dove veniva sancito che la salvaguardia di Venezia è un «problema di preminente interesse nazionale». Un primo passo che avrebbe portato alla progettazione del Mose e agli interventi degli ultimi anni.