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 2011  marzo 11 Venerdì calendario

I 4 PARADOSSI DEL REGNO

In AFFANNO - L’allungarsi dell’onda rivoluzionaria sulla penisola araba agita i sonni occidentali. Giordania, Bahrein e Yemen hanno conosciuto i primi movimenti e le prime proteste che timidamente iniziano ora ad affacciarsi in Arabia Saudita. Le ragioni di questi timori sono più che fondate, perché l’Arabia Saudita è lo Stato chiave del Vicino Oriente: per le sue ricchezze petrolifere, per i suoi rapporti privilegiati con gli Stati Uniti e soprattutto per la sua influenza fondamentale nelle vicende dell’islam contemporaneo. È una situazione, quella di oggi, che neppure Muhammad ibn Abd al-Wahhab, quando iniziò a predicare un islam che doveva tornare alla presunta purezza della fede predicata da Maometto, poteva immaginare. L’alleanza che gli garantì il clan degli Al Sa’ud nel 1744 fece da sostegno alle prime azioni: distruzione di tombe e luoghi di culto in odore di paganesimo e attacchi contro gli sciiti a nord della penisola perché considerati alla sorta di eretici. Un ritorno alle origini e una insuperabile avversione verso tradizioni diverse erano i loro slogan, probabilmente destinati a scarse fortune e all’isolamento dal resto del mondo islamico. Quando però la famiglia Sa’ud ritornò a dominare sulla penisola araba nel 1924, riportò al potere la visione dell’islam wahhabita non solo su un deserto isolato e lontano ma sulle più ricche riserve petrolifere del pianeta. Così facendo, creò il paradosso di una società che doveva coniugare il tradizionalismo più rigido con le spinte di un immenso capitale da spendere in qualche modo. Ma in questa storia i paradossi sono più d’uno. Quello economico è la divisione delle ricchezze che cadono a pioggia solo sui clan e sulle migliaia di parenti dell’immensa famiglia saudita. Oggi, sotto la spinta demografica e l’esclusione dei più, tale ripartizione dei beni è in affanno e le concessioni più recenti sembrano sottolineare ancor di più la sua profonda ingiustizia. Il paradosso politico è il tragico deficit di democrazia. Come negli altri Paesi del Golfo, il Regno saudita è in mano a pochi, con maggioranze di cittadini escluse e ancor più ampie popolazioni di immigrati con nessun diritto e scarse prospettive. E oltre a ciò una irriducibile ostilità verso la minoranza sciita delle regioni nordorientali, figlia del credo wahhabita, ma anche funzionale al controllo di zone ricche di petrolio. Non stupisce, quindi, che i primi sommovimenti vengano da qui. Il paradosso più eclatante è però quello religioso. Sotto il silenzio di un occidente timoroso di rompere equilibri che avrebbero effetti ben più vasti della crisi libica, l’islam wahhabita saudita da decenni è all’origine di gran parte dei fenomeni dell’islam radicale contemporaneo e di ogni forma di tradizionalismo islamico sunnita, salafiti compresi. Sono i soldi sauditi che guidano i cosiddetti processi di re-islamizzazione in Paesi che vanno dall’Asia centrale all’estremo oriente e fino all’Africa sud-sahariana. Ed è in questi Paesi che i soldi sauditi tentano di sostituire una visione tradizionalista uniforme alle pratiche locali. Vi sono inoltre i soldi sauditi dietro banche, capitali e iniziative economiche mosse da intenti di rigida moralizzazione. Ma forse il paradosso più sorprendente per l’Arabia Saudita e per i suoi sostenitori è quello di aver resistito senza grandi insidie fino a oggi, data la situazione. Di aver saputo imporre al proprio interno quelle rigide regole del convivere sociale (velo, legge del taglione etc.) che altrove sono criticate, e allo stesso tempo di avere un rapporto più che solido con gli Stati Uniti. Di riuscire a diffondere tale visione dell’islam, con quei soldi garantiti dallo status quo accettato, senza sollevare alcun timore esterno e solo qualche rara voce di dissenso all’interno, subito spenta. Oggi, se le voci di dissenso andranno oltre le rivendicazioni della minoranza sciita vorrà dire che tutti questi nodi dovranno essere risolti. E con conseguenze tutte da scoprire, per la famiglia regnante, per i giovani sauditi esclusi dal potere, per gli assetti della regione e soprattutto per le fortune o sfortune dell’islam tradizionalista nel mondo. Docente di Islamistica Università di Napoli L’Orientale