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 2011  marzo 11 Venerdì calendario

La “variabile panico” che fa salire il greggio - Tra i frutti avvelenati della guerra civile in Libia c’è il petrolio che rincara

La “variabile panico” che fa salire il greggio - Tra i frutti avvelenati della guerra civile in Libia c’è il petrolio che rincara. Se si guarda ai singoli elementi del quadro, come ad esempio la produzione di greggio libico dell’Eni, le difficoltà sembrano gestibili; una fonte di approvvigionamento può (entro certi limiti) essere sostituita da un’altra, ma questo vale solo sul piano fattuale, mentre i mercati sono governati anche dalle attese, dai timori e dalle speculazioni. Perciò la scomparsa dei 100 mila barili residui del «cane a sei zampe» potrebbe bastare a scatenare reazioni esagerate ma non per questo meno reali, soprattutto se al blocco delle attività dell’Eni seguisse quello delle altre compagnie - l’Agenzia internazionale dell’energia dice che in Libia in questo periodo si estraggono 500 mila barili al giorno contro un milione e 200 mila pre crisi. E se i pozzi smettono di funzionare del tutto? Nel 2008 il barile arrivò a 147 dollari, stavolta si potrebbe andare oltre - ma poi l’economia globale crollerebbe per l’incapacità di sostenere a lungo prezzi così esagerati. Il rincaro del petrolio provoca anche il boom dei prezzi delle merci trasportate su ruota - che sono quasi tutte. E a sua volta l’inflazione determina il rialzo dei tassi di interesse, perché la Banca centrale europea è pronta a intervenire - e questa sarà una minaccia per l’anemica ripresa economica che stiamo sperimentando. Ieri il bollettino della Bce stimava l’inflazione del 2011 al 2,3% (cioè 0,5 punti in più delle attese di dicembre, quando si ipotizzava l’1,8%). La Bce avverte: «Un atteggiamento molto vigilante è necessario contro i rischi di instabilità dei prezzi», e questa è una promessa di stretta monetaria, anticipata una settimana fa dal presidente Trichet - ma in pochi giorni le cose sono ancora peggiorate. Del resto la fiammata inflazionistica, pur scatenata soprattutto dal petrolio, era «già ravvisabile anche nelle prime fasi del processo produttivo». L’industria italiana vive un particolare momento di preoccupazione. Ieri l’Istat segnalava, a sorpresa, un calo dell’1,5% della produzione industriale a gennaio rispetto a dicembre (e dello 0,6% nel confronto con gennaio 2010). La delusione è forte perché le previsioni davano l’indice in aumento tra lo 0,5% e lo 0,7%, ed è doppia perché il dato negativo italiano è in controtendenza rispetto al buon recupero in corso in Germania e Francia. Secondo il Centro studi di Confindustria entrano in gioco fattori di rischio ai quali l’Italia è più vulnerabile di altri Paesi, cioè «il rincaro delle materie prime e in particolare del petrolio». I giochi non sono fatti: il Csc valuta che già a febbraio ci sia stato un recupero (+1,7%), però nel complesso il Centro studi prevede «una crescita nella prima parte dell’anno più lenta di quella attesa». Confindustria dice che lo choc del rincaro del petrolio può «rallentare sensibilmente la ripresa nei Paesi avanzati» (anche gli altri, non solo il nostro). Il direttore Giampaolo Galli calcola che un prezzo a 115 dollari al barile «può comportare un minor livello del Pil italiano di circa lo 0,7% in due anni a parità di altre condizioni». Ieri c’è stata una tregua per i prezzi al consumo dei carburanti, fermi ai livelli (comunque da record) compresi per la benzina tra 1,561 euro/litro (Eni, Ip e Tamoil) e 1,578 euro/litro (Esso) e per il gasolio tra 1,456 euro/litro (Ip) e 1,468 euro/litro (Esso e Shell). Ma in giornata sul mercato del Mediterraneo i listini all’ingrosso dei prodotti raffinati hanno superato un’altra volta i 1.000 dollari alla tonnellata, dopo appena un giorno al di sotto della soglia. Non ci vuole molta fantasia per prevedere nuovi rincari in arrivo al distributore.