FRANCESCO GRIGNETTI, La Stampa 11/3/2011, 11 marzo 2011
AZIONE PENALE OBBLIGATORIA
È il cardine della nostra giustizia penale, l’obbligatorietà. Significa che un magistrato non ha margini discrezionali. Tutte le notizie di reato meritano di uguale sforzo; tutte le indagini devono (dovrebbero) terminare con un processo. Ma ora s’annuncia una riforma di rango costituzionale che cambia le prospettive: l’azione penale resta obbligatoria, ma con giudizio. Ovvero il pm dovrà modulare il suo impegno secondo criteri di priorità imposti da una legge dello Stato. Non è la discrezionalità dell’azione penale, ma nemmeno la obbligatorietà com’è oggi. E’ una via di mezzo. Un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Il che permette al ministro Alfano di dire: «Il principio resta saldo». Epperò anche di polemizzare così: «Un principio oggi sacrosanto è stato trasformato da alcuni pm nel suo contrario, cioè nell’assoluta discrezionalità di perseguire i reati. Il governo intende togliere il manto di ipocrisia».
Ecco, l’ipocrisia. Un mantra del centrodestra. «Con tre milioni di reati ogni anno - spiega un tecnico del settore come il senatore Filippo Saltamartini, Pdl - e un corpo di mille pubblici ministeri, il calcolo è presto fatto: fatte salve le differenze tra luogo e luogo, la media aritmetica ci dice che ogni pm dovrebbe seguire tremila processi all’anno. E’ evidente che non ce la fa e che quindi poi, alla faccia dell’obbligatorietà dell’azione penale, fanno le loro scelte».
Preso da tutt’altro punto di vista, la corrente di Magistratura democratica ha tenuto qualche tempo fa un convegno dedicato a «domanda di giustizia e carichi di lavoro». Spiegavano, i giudici della corrente di sinistra: «E’ un tema che non può essere eluso perché la determinazione della misura del carico di lavoro dei magistrati, rappresenta elemento di conoscenza indispensabile su cui formulare motivate e specifiche richieste».
A questo proposito c’è un accurato studio dell’associazione nazionale magistrati che ha passato in rassegna ciascuno dei 166 uffici di procura per calcolare i carichi di lavoro per ogni singolo pm. Si scopre che si va dai 1346 fascicoli procapite di un pm ad Ancona agli 870 di Viterbo. E questi sono dati del 2009. Nel frattempo, per colpa dei buchi d’organico, ci sono realtà impazzite e altre virtuose.
E’ più che perplesso un ex magistrato storicamente pragmatico come Piero Luigi Vigna: «Non va bene il fatto che sia la legge ordinaria a dover indicare i reati per i quali vale l’obbligatorietà dell’azione penale, che in questo modo va a dipendere dalla legge. Così potrebbe capitare che i pm non la dovranno esercitare per reati come corruzione o per il voto di scambio politica-mafia».
Già, perché questo è il tema di fondo. A voler fissare i criteri di priorità, significa che se ci sono dei reati più importanti di altri, quelli che la politica considererà «secondari» finiranno in fondo alla lista. E per dirla con Alfano, che sul punto è stato tranciante, «il magistrato partirà prima dalle priorità e poi, tempo permettendo, si persegue il resto. Se poi è particolarmente bravo, ha la capacità e il tempo per fare tutto, perseguirà tutto».
Ma appunto questo è il tabù che si va ad intaccare: ci saranno tipologie di reati che infallibilmente finiranno nel cestino. Perciò insorgono i giudici. Le opposizioni si preparano a una dura battaglia. Dice sul punto Bersani: «Un testo che è più che criticabile». Ma anche Francesco Rutelli: «Inaccettabile». O il finiano Italo Bocchino: «E’ fortissima la nostra perplessità». Anche una corrente tradizionalmente dialogante come Magistratura Indipendente è contro: «E’ lo svilimento della obbligatorietà della azione penale», commenta Cosimo Maria Ferri.