Nicola Lombardozzi, la Repubblica 11/3/2011, 11 marzo 2011
NELL’UFFICIO SUPPLICHE A MOSCA
La porta dei desideri è di alluminio anodizzato. Qui si entra per chiedere giustizia, strappare qualche favore, invocare un miracolo che possa cambiarci la vita. Via Perejaslavskij numero 4, periferia nord di Mosca, palazzina rosa, proprietà del partito di governo Russia Unita. Sulla targa d´ottone c´è scritto: «Accettazione delle richieste per Vladimir Vladimirovic Putin». Niente qualifiche, basta il nome. Lui ascolta le suppliche, lui risponde sempre e con firma autografa, e qualche volta risolve anche il problema. La coda è ordinata, venti persone già all´apertura, alle 10 del mattino. Ne arriveranno più di cento da qui alle 17, ora di chiusura. L´accoglienza ispira fiducia. L´anziana con il foulard colorato che aspetta da un´ora, fissa rinfrancata i divani di pelle, i distributori di bevande, le foto del premier che riempiono due pareti. Dodici gentilissimi impiegati l´aiutano a superare le difficoltà del metal detector, la invitano ad accomodarsi con gli altri che ammirano speranzosi la sala d´attesa. Presto le loro richieste verranno tradotte per iscritto, registrate e messe al vaglio del premier. Lui, giurano, viene almeno una volta alla settimana a leggere, esaminare, provvedere. Natasha ringrazia, posa sul tavolo in vetro fumé la borsa della spesa. Accanto le si è seduto Vassilij, un colosso biondo con le mani tatuate. E´ arrivato da Rostov sul Don. Anche lì, e in tutta la Russia ci sono uffici come questo ma lui vuole essere sicuro di raggiungere il Capo. Mostra una borsa piena di carte: «Abito da anni in una casa che non mi lasciano privatizzare. Sono tutti corrotti, giudici, ingegneri comunali. Povero Putin, lui non può saperlo. Appena leggerà la mia supplica caccerà tutti a pedate e mi darà ragione».
Alla speranza del biondo si associa un vecchio dagli occhiali scuri e il bastone. Anche lui viene da lontano, dal confine bielorusso: «Per 40anni ho cercato le tracce di mio fratello Volodja, caduto con l´Armata Rossa in Polonia. Poi ho finalmente individuato la sua tomba ma non ho i soldi per il viaggio. Putin mi aiuterà, deve farlo». Il coro sui divani di pelle si alza gonfio di speranza. Un distinto quarantenne vuole far pubblicare la sua teoria sul rinnovo urbanistico di Mosca che «i burocrati mi stanno boicottando». Una donna del sobborgo di Kimki, chiede un aiuto contro delle strane voci che sente in casa. L´impiegato sorride complice: «Di questi ne vengono tanti. C´è chi sente oscure presenze, chi accusa il medico di avergli messo un chip nel cervello...». E Putin che fa? «Prepariamo risposte generiche e affettuose, e magari informiamo discretamente i familiari». Un giovane con gli occhiali fissa il pavimento con l´aria timida: «Cosa chiedo? Questioni familiari. Riservate». Ma non vorrà per caso parlare a Putin dei suoi problemi di cuore? Lui sospira teatrale: «E a chi, se no?».
L´arte della supplica, antica tradizione degli zar ripercorsa da Lenin ai primi anni della Rivoluzione, ha terreno fertile tra i russi. Via Perejaslavsjkij 4, è ormai un´istituzione che rivaleggia con il più pomposo indirizzo postale «Dmitri Medvedev, presidente di Russia, Cremlino». Un operaio che chiede giustizia per una lite in fabbrica spiega la differenza: «Tutti abbiamo scritto a Medvedev ma arrivano solo prestampati pieni di parole difficili. Putin invece si interessa davvero». Tocca a Natasha che per concentrarsi si toglie il foulard colorato e detta la sua supplica. Chiede giustizia per il nipote Aleksej, capitano della squadra della scuola media al torneo rionale. L´arbitro, dice, lo ha espulso ingiustamente. La squadra ha perso e quindici ragazzi di 14 anni piangono inconsolabili. Nonna Natasha fissa l´impiegato negli occhi: «Lo scriva bene. Queste sono proprio le cose che Putin non può soffrire. Ci penserà lui a mettere a posto quel venduto».