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 2011  marzo 11 Venerdì calendario

LA SOLITUDINE DIGITALE È UN PERICOLO SERIO

Stai assistendo a un funerale ma la coda dell’occhio è attratta dalla lucina rossa del Blackberry che lampeggia nel taschino. Per un po’ resisti, poi lo tiri fuori con noncuranza per leggere il messaggio appena arrivato. Un ragazzo sta per ore col cellulare in mano a scambiare testi, ma non parla mai al telefono. Perché? «Perché se conversi perdi tempo, è difficile chiudere e poi rischi di rivelare troppo, di esporre le tue emozioni» . Appuntamento a casa di una possibile baby sitter, cerchi di capire se è la persona giusta. Apre la compagna con la quale divide l’appartamento: «È in camera sua, ora l’avverto» . E digita un messaggio sull’iPhone. «Ma non si fa prima a bussare?» . «Oh no, non farei mai una cosa così intrusiva» . Scene da Alone Together («Soli insieme» ), l’ultimo libro di Sherry Turkle, una docente di psicologia che al Mit di Boston analizza l’impatto delle tecnologie digitali sui comportamenti sociali. Di studi di questo tipo— sull’alterazione dei meccanismi dell’apprendimento indotti da Internet, sulla difficoltà di concentrarsi e andare in profondità in un’era di bombardamento di messaggi aggiornamenti continui e link che ti portano altrove— ne sono già stati pubblicati tanti. Ma l’evoluzione delle tecnologie pone problemi sempre nuovi, mentre l’esplosione del fenomeno delle reti sociali sta creando, negli Usa, un dibattito infuocato nel quale prevalgono le visioni critiche: da quella di The Dumbest Generation (la generazione più superficiale), un saggio di Mark Bauerlein, docente della Enory University, allarmato dalla tendenza dei giovani a usare Internet non per apprendere ma quasi solo per comunicare in un vortice di messaggi spesso banali e redatti con un linguaggio abbreviato, al giovane studioso Evgeny Morozov che in The net Delusion sostiene che reti come Facebook impigriscono i giovani illudendoli che basti un click per diventare socialmente attivi. La Turkle merita un’attenzione particolare per il modo in cui tratta il problema della solitudine digitale— l’idea di poter socializzare restando chiusi nella propria stanza, senza un vero contatto umano —, ma anche per le sue note sull’evoluzione del concetto di simulazione. La docente del Mit parla con l’esperienza di chi ha scritto il primo saggio sociologico sulla rete (The Second Self) nel 1984, all’alba dell’era dei computer. Oggi è più pessimista di allora, ma cerca di essere costruttiva: «Non sono una luddista» , dice, «e non mi piace usare per le reti sociali la metafora della dipendenza: non sono droga, solo strumenti delicati, che dobbiamo imparare a usare bene» . Del resto quello della simulazione digitale sta diventando un problema anche fuori Internet: in rete c’è quella del «secondo io» , l’immagine diversa di sé che si dà online. Nella vita reale arrivano i robot per l’assistenza agli anziani (già diffusi in Giappone). L’illusione della compagnia meccanica.