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 2011  marzo 10 Giovedì calendario

QUANDO LE INTERCETTAZIONI SONO UN AFFARE SPESI 190 MILA EURO, INCASSATI 7 MILIONI - MILANO

Per undici mesi gli uomini della Guardia di Finanza hanno seguito, passo dopo passo, la vita di diciassette indagati. Hanno ascoltato dialoghi, confessioni involontarie, a volte sfoghi umani. Gran parte di quelle conversazioni delle, però, si sono dimostrate fondamentali per scoprire una truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale che andava avanti da anni e che aveva permesso di accumulare un "bottino" di almeno 7 milioni di euro. Al termine di quasi un anno di inchiesta, tre medici sono finiti in carcere per interventi chirurgici inutili, altri loro colleghi e alcuni manager sono stati indagati per truffa. Grazie anche alle intercettazioni telefoniche, quel ricorso così facile all´intervento chirurgico (spesso dannoso, qualche volta mortale), si è dimostrato come lo scopo non secondario dei chirurghi fosse quello di gonfiare i rimborsi della clinica privata convenzionata.
Questo è il bilancio (giudiziario) dell´inchiesta milanese dei pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano sul reparto di cardiochirurgia della Santa Rita, la "clinica degli orrori". Ma c´è anche un bilancio "economico", giacché per arrivare a queste conclusioni lo Stato ha dovuto sobbarcarsi delle spese. Quanto? Nelle pieghe del fascicolo processuale emerge la cifra ufficiale: «190 mila euro e 9 centesimi». Numeri che parlano: il processo sulla clinica milanese sembra essere davvero un esempio virtuoso del tanto vituperato pianeta giustizia. Nel conto sono incluse le voci dell´affitto delle attrezzature per eseguire le oggi criticatissime intercettazioni (101 mila euro), le spese sostenute per rimborsare i gestori telefonici (4.100), le consulenze dei periti sulle cartelle cliniche (67.000), perfino le fotocopie (8.338) e le spese per le missioni fuori sede degli investigatori impegnati nell´indagine (la media è 25 euro a missione per un totale di 1.700 euro).
Queste le «uscite». Ma il bilancio non è completo se non si considera ciò che, grazie al processo, la giustizia è riuscita a incassare. L´ex proprietario della Clinica Santa Rita (lo scomparso notaio Francesco Paolo Pipitone), per esempio, per ottenere il via libera al patteggiamento a 4 anni e 4 mesi, ha intestato alla Regione Lombardia un assegno circolare da 7 milioni di euro. Soldi che sono da oltre un anno nelle casse del Pirellone. Non è tutto. Lo scorso ottobre, alla conclusione del processo di primo grado a carico del primario Pier Paolo Brega Massone e dei suoi assistenti, insieme a pesanti condanne sono arrivate anche le pene accessorie: i tre imputati dovranno risarcire «in solido» agli 80 pazienti danneggiati 1 milione e 755mila euro. Altri 723mila sono stati liquidati agli enti che si sono costituiti parte civile contro l´ex équipe di Chirurgia toracica della Santa Rita. Solo all´Ordine dei medici, la Corte presieduta da Maria Luisa Balzarotti ha liquidato 380mila euro, 43mila alla Confconsumatori. Soldi che si potranno incassare appena verrà depositata la motivazione della sentenza.
Gli ostacoli non sono tutti superati: bisognerà infatti vedere se gli imputati hanno beni disponibili. A scopo cautelativo, a uno degli "aiuti" di Brega, nei mesi scorsi è stato perfino sequestrato lo scooter. Nel caso in cui i medici dovessero risultare nullatenenti, le parti lese potranno rifarsi nei confronti della clinica. A parte, restano le cifre che verranno quantificate nelle cause civili.
Se l´inchiesta dovesse essere valutata solo dai numeri, il bilancio, a oggi, sarebbe ampiamente in utile. Per 190mila euro e 9 centesimi spesi, sono già rientrati 7 milioni. E il computo finale potrà essere ancora più roseo. Infatti, oltre ai 15 anni e mezzo al primario, ai suoi vice, Pietro Presicci e Marco Pansera, sono stati inflitti rispettivamente 10 anni e 6 anni e 9 mesi. Sentenze non ancora definitive, che, è bene sottolinearlo, dovranno ancora passare il vaglio dell´appello prima e della Cassazione poi. Se, però anche un solo imputato dovesse essere condannato, il bilancio da ragionieri del processo si dimostrerebbe ancor più in attivo. Ai condannati, in questo caso, verrebbe anche chiesto di risarcire quei 190mila euro e 9 centesimi di «spese di giustizia».