Giacomo Galeazzi, La Stampa 10/3/2011, 10 marzo 2011
«IL PAESE È NEL CAOS E NOI SIAMO LE VITTIME»
Noi cristiani ci eravamo illusi che fosse scoccata l’ora della libertà e invece siamo diventati le prime vittime dell’anarchia attuale», denuncia il vescovo Barnaba El Soryany, capo della diocesi copto-ortodossa di Roma e Torino. «Prima soffrivamo per la dittatura di Mubarak, adesso in questo tragico caos non c’è più polizia né protezione e siamo in balia dei fondamentalisti islamici che cercano qualunque pretesto per distruggere le nostre chiese». In Egitto scorre ancora sangue copto. Perché? «Quello di Mubarak era un regime, ora siamo alla totale anarchia e i fondamentalisti ne approfittano per colpirci. Non abbiamo più interlocutori istituzionali per invocare la sorveglianza dei nostri luoghi di culto, così ormai non bruciano più le chiese: le fanno a pezzi, le distruggono per cancellare i segni della nostra presenza. Scendiamo in piazza per protestare e la maggior parte degli egiziani musulmani è con noi, però la minoranza di integralisti non ha più argine. In pratica non esistono più forze di sicurezza. Nessuna autorità garantisce l’incolumità dei nostri fedeli e così nelle comunità dilagano la paura e il pensiero di scappare all’estero per mettersi al sicuro. Si cercano motivi per scatenare la violenza contro di noi». Quali per esempio? «Una volta è una conversione contestata, un’altra l’amore tra un cristiano e una musulmana. Da ogni pretesto può derivare strumentalmente una strage. Abbiamo pensato che dopo Mubarak avremmo avuto maggiore libertà, ma lo scenario volge al peggio. Speriamo che l’Egitto non diventi come l’Iran o il Pakistan. Molti musulmani ci rassicurano che i fondamentalisti non andranno al governo e che la maggioranza degli egiziani non li vuole al potere, dunque inseguiamo un dialogo, pur complicato, con la nuova leadership. Non faremo mai un partito copto perché porterebbe alla guerra civile. Parliamo con le forze politiche già in campo per inserire cristiani nella vita pubblica». Cosa chiedete al nuovo governo? «Il contesto è difficile da decifrare e tutte le rassicurazioni ricevute finora non attenuano la nostra angoscia. L’esecutivo si è appena formato e ai manifestanti in piazza ha promesso che ricostruirà a sue spese le chiese distrutte dai fondamentalisti islamici. Ora l’emergenza è la sicurezza, non siamo più protetti da nessuno e aspettiamo le indagini della magistratura per sapere se sono fondati i sospetti che attribuiscono ai servizi di Mubarak la strage di Capodanno. Noi copti vogliamo la pace, non risponderemo mai alla violenza con la violenza. Tanti cristiani però non vedono più possibilità di restare in Egitto e decidono di lasciare la terra di cui sono i più antichi abitanti. Non vedono futuro e siamo nel mirino pure in Occidente».
Anche in Italia? «Abbiamo ricevuto minacce dai siti Internet dei mujaheddin e, dopo l’ultimo massacro ad Alessandria, il timore di attentati ha notevolmente diminuito i fedeli alle funzioni, anche in Italia. Già il 6 gennaio 2010 sei ragazzi erano stati uccisi in Egitto mentre uscivano da una chiesa. Gli integralisti islamici da sempre considerano i copti un bersaglio. Ovunque scendiamo in piazza lo facciamo per invocare protezione e parità di diritti e per sensibilizzare le coscienze affinché si prenda atto della nostra debolezza di fronte alla brutalità dei fondamentalisti. Tra le religioni professate nel mondo siamo la più martoriata».