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 2011  marzo 10 Giovedì calendario

Scontri copti-musulmani: 13 morti - Il circo dei media ha lasciato da un giorno all’altro l’Egitto del dopo Mubarak per precipitarsi nella più drammatica guerra di Libia, dove il sangue e il petrolio muovono gigantesche passioni umanitarie e geopolitiche

Scontri copti-musulmani: 13 morti - Il circo dei media ha lasciato da un giorno all’altro l’Egitto del dopo Mubarak per precipitarsi nella più drammatica guerra di Libia, dove il sangue e il petrolio muovono gigantesche passioni umanitarie e geopolitiche. Il dopo Mubarak non è però svanito come se il Dio di Berkeley avesse smesso di pensarlo, ma torna a bussare alla porta della nostra affaticata attenzione con un nuovo contributo di sangue. Si è saputo soltanto ieri che negli scontri dei giorni scorsi tra copti e musulmani sono morte 13 persone e 140 sono rimaste ferite. Iason Athanasiadis, il reporter anglo-greco che si è fatto 18 giorni nelle galere iraniane durante le proteste per il voto truccato nel 2009 a Teheran, è tornato in questi giorni al Cairo. Aveva seguito la crisi di piazza Tahrir piantato in mezzo ai dimostranti con la sua enorme reflex, come dimostrano le sue foto degli scontri diffuse dalle agenzie internazionali. «C’è ancora molta irrequietezza - dice - molta tensione». Ieri, come se si fosse tornati alle settimane di gennaiofebbraio quando le squadracce di Mubarak pestavano gli innocui dimostranti in piazza Tahrir, centinaia di teppisti hanno assalito con coltelli e machete i giovani che protestavano contro l’ambigua transizione. Scontri, sassaiole si sono allargati alle vie laterali. Ci sarebbero almeno due vittime. Con l’economia in ginocchio e l’ordine incerto, l’Egitto è investito da paurose ondate destabilizzanti che accelerano verso le promettenti incognite della democrazia o refluiscono verso le soffocanti certezze del vecchio ordine. Una desolante sensazione di precarietà avvelena la vita di tutti i giorni. Un clima che ha amplificato le tensioni interconfessionali, scatenate una settimana fa dal rogo di una chiesa, nel villaggio di Aftih, nel governatorato di Hilwan, un centinaio di chilometri a Sud del Cairo. Nella capitale, i cristiani hanno protestato radunandosi per diversi giorni davanti alla sede della televisione. Gli scontri più sanguinosi sono avvenuti martedì nel quartiere proletario di Moqattam, dove un migliaio di copti si sono radunati per gridare la loro rabbia contro il rogo della chiesa, ma anche per la loro discriminazione nella società. Sono stati affrontati da gruppi di musulmani. Soltanto l’intervento dell’esercito ha potuto spegnere le violenze: 13 cadaveri sono rimasti sull’asfalto, di entrambe le fedi. «Non fatevi ingannare - dice al telefono il portavoce dei Fratelli Musulmani, Essam el Erian - questo è un episodio della controrivoluzione. Ad attaccare i cristiani sono stati sgherri del partito di Mubarak e la polizia segreta. Musulmani? Probabilmente, ma tutti salafiti, estremisti. I nostri leader invece sono andati ad Aftih a dire che la chiesa va ricostruita. Non dimentichiamo però che mentre molti cristiani erano con noi in piazza Tahrir, le gerarchie copte solidarizzavano con il vecchio regime: ora stanno cercando di sfruttare la situazione per riguadagnare credito». Iason Athanasiadis, che è anche analista per l’«Alliance of Civilizations Global Experts Program» dell’Onu, la pensa diversamente: «Sì, anche il fronte democratico dice che è tutta opera di agenti provocatori per destabilizzare la transizione, ma non ci sono prove. Credo invece che esista una vera tensione sociale tra cristiani e musulmani, specialmente nei villaggi. È innegabile che il Papa copto fosse un fedele alleato di Mubarak. Forse la posizione di papa Shenouda nasceva dalla paura dell’esempio iracheno, dove la caduta un dittatore laico che proteggeva le minoranze ha portato a una guerra civile e a un dopoguerra insanguinato, sfociato nel più grande esodo di cristiani della storia». Al Cairo il coprifuoco è stato anticipato di tre ore, alle 21. L’esercito forse prepara la democrazia, ma intanto i carri armati restano nelle strade.