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 2011  marzo 03 Giovedì calendario

UN CHANDLER A LETTERE MAIUSCOLE

Questo è stato un libro totem per più generazioni, raccoglie le lettere di Raymond Chandler, l’inventore di Philip Marlowe, il miglior detective della nostra vita, ad amici, editori e lettori. In Italia lo pubblicò Oreste Del Buono, ora lo ripubblica Fandango in una edizione di sicuro prestigio tradotta da Sandro Veronesi e illustrata dal maestro Igort.
I drammaturghi contemporanei battono la fiacca: da queste lettere verrebbe fuori uno struggente (ma anche sarcastico) monologo pronto da portare in teatro. Eccolo in un mio personale adattamento.

Scena prima. Chandler (in vestaglia, facendosi la barba davanti allo specchio del bagno, in bocca stringe l’inseparabile pipa e perciò parla tra i denti): «Mio padre era ingegnere civile, laureato alla Penn. Divorziò quando avevo sette anni. Mai più visto. Dopo di che andai in Inghilterra e studiai il latino e il greco. Non penso che l’educazione mi abbia procurato grossi danni.

Scrissi la mia prima poesia a diciannove anni, una domenica, mentre ero in bagno, proprio come adesso, e fu pubblicata sul Chamber’s Journal. Grazie al cielo non ne ho una copia. Approdai in California nel 1919 con un buon guardaroba e un accento da scuola pubblica, e feci parecchia fatica tentando di tirare avanti. Una volta ho lavorato in un negozio di articoli sportivi, dove incordavo racchette da tennis. Dodici dollari e mezzo per cinquantasei ore a settimana».

Scena seconda. Chandler (preparandosi un caffè): «Ho sposato Cissy nell’anno in cui morì mia madre. Non ho figli. Mia moglie non vuole pubblicità e su questo è alquanto drastica. Non dipinge né scrive. Suona uno Steinway a coda quando ha tempo. Vengo considerato uno scrittore hardboiled, cosa che per me non significa niente. Sono una persona sensibile e anche diffidente. A tratti caustico e aggressivo, a tratti molto sentimentale. Viviamo a La Jolla, in una strada ai piedi della scogliera, immersi nel rumore del mare. La casa è molto oltre i diritti di aspettativa di uno scrittore pulp disoccupato. Il soggiorno ha una grande finestra che guarda a sud attraverso la baia fino alla punta ovest di San Diego. Uno scrittore della radio venne a trovarmi, si sedette davanti alla finestra e cominciò a piangere dalla bellezza».

Scena terza. Chandler (facendosi il nodo alla cravatta in guardaroba): «Sì, sono proprio come Philip Marlowe. Sono un duro e sono conosciuto per aver spezzato una brioscina con le mie nude mani. Poi sono un gran fico, ho un fisico poderoso e mi cambio la camicia regolarmente, ogni lunedì mattina.
Mi procuro il materiale da lavoro in molti modi ma quello che preferisco è rovistare sulle scrivanie di altri scrittori dopo l’orario di lavoro. Ho trentotto anni e ce li ho da venti. Non mi considero un tiratore scelto ma so brandire bene un asciugamano bagnato. Tuttavia penso che la mia arma preferita sia un biglietto da venti dollari».
Fine del primo atto

Atto II, I scena. Chandler (accarezzando una gatta come Amleto il teschio di Yorick): «Una volta mi fecero delle foto e una in cui tenevo sulle ginocchia la mia segretaria venne davvero bene. Forse dovrei dire che la segretaria è un persiano nero di 14 anni, e la chiamo così perché ce l’ho intorno da quando iniziai a scrivere. Di solito sta seduta sul foglio che vorrei usare. A volte si mette a fissare fuori dalla finestra come per dire "amico, la roba che stai facendo è una perdita di tempo"».

II scena. Chandler (alla scrivania): «A lungo andare la cosa più durevole dello scrivere è lo stile. Lo stile è l’impronta personale che lo scrittore dà alla propria scrittura, il prodotto della qualità delle sue emozioni e delle sue percezioni. Le impronte digitali di uno scrittore, questo è lo stile. (Intinge i polpastrelli e li preme su un foglio che infila nella macchina da scrivere). Io scrivo in una specie di gergo sfasciato abbastanza simile al modo in cui parla un cameriere svizzero».

III scena. Chandler (guardando l’oceano dalla finestra): «Ieri mattina abbiamo dovuto mettere a dormire per sempre la nostra gattina. Adesso c’è un ottimo modo per farlo. Iniettano nembutal in una vena della zampa anteriore e l’animale semplicemente se ne va. Si è addormentata in dieci secondi. È un peccato che non si possa fare sulle persone. Siamo abbastanza distrutti».

IV scena. Chandler (solo davanti alla tavola apparecchiata): «Tutta la notte ho ascoltato dischi, mi aveva preso la malinconia e non ero abbastanza ubriaco da avere sonno. Domani è, o sarebbe stato, il nostro trentunesimo anniversario di nozze. Spargerò per casa rose rosse e inviterò un amico a bere champagne, come facevamo sempre. Un gesto inutile e probabilmente sciocco dal momento che il mio amore è irrimediabilmente perduto e non credo in una vita dopo la morte. Ma comunque devo farlo. Noi duri siamo dei sentimentali senza speranza. Cissy è stata il battito del mio cuore per trent’anni».

Ultima scena. Chandler (in pigiama in una clinica psichiatrica): «Non so dire se intendevo farlo sul serio o se il mio inconscio ha tentato di mettere in atto un patetico spettacolino da due soldi. Il colpo mi è partito senza volere. Non avevo mai sparato con la pistola e il grilletto era così sensibile... Il proiettile è rimbalzato sulle pareti della doccia finendo nel soffitto. A quel punto solo buio. Un poliziotto mi ha detto di avermi trovato seduto sul pavimento della doccia che tentavo di infilarmi la pistola in bocca e che, quando mi ha chiesto di dargliela, io ho semplicemente sorriso e gliel’ho consegnata».