Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 10 Giovedì calendario

IL ROMAZO SUL NOVECENTO FATTO DI UNA SOLA FRASE

Raramente il rapporto tra forma e contenuto è emerso, almeno negli ultimi anni, con tanta evidenza come in Zona, l´ultima opera di Mathias Enard (traduzione di Yasmina Melaouah, Rizzoli, pagg. 489, euro 22). Infatti questo romanzo, che affronta un secolo di guerre e violenze intorno al bacino mediterraneo, da Gibilterra a Bagdad, risulta composto da un´unica, lunghissima frase. Logico che sia stato considerato come il più ambizioso della stagione letteraria francese. La prima questione da affrontare, dunque, verte sul legame fra una scelta stilistica tanto estrema e il senso del racconto, punteggiato, è il caso di dire, da violenze inaudite. Malgrado il volume appaia scandito in ventiquattro capitoli, è come se Enard avesse voluto imprimere alle vicende la massima accelerazione, attirando il lettore verso la fine come dentro un gorgo – il gorgo della Storia in cui scompaiono le vittime e i carnefici del cosiddetto "secolo breve". Certo, l´operazione non è originale, visto che già nel 1913 Apollinaire pubblicò una raccolta di versi senza punteggiatura. Si trattava di Alcools, che non per nulla presenta una poesia intitolata Zona. Quanto alla narrativa, basti pensare al monologo interiore dell´Ulisse di Joyce. Più di recente, lo stesso protocollo si ritrova in Eden, eden, eden del francese "maledetto" Pierre Guyotat (1971) e in Matilde di Giovanni Mariotti (1993), due testi che fluiscono liberi da costrizioni sintattiche, senza alcun punto fermo, uno per 250, l´altro per 220 pagine. Se poi volessimo trovare un corrispettivo cinematografico, potremmo pensare a Arca russa di Aleksandr Sokurov (2002), composto da un unico piano sequenza in soggettiva, che dura quanto l´intero film. Questo per quanto riguarda la forma adottata, che tuttavia, dopo le prime pagine, si rivela un ostacolo facilmente superabile, grazie all´uso di altri segni di interpunzione. Ben più importante l´influenza di autori che sembrano guidare la discesa agli inferi di Zona. Basti limitarci a due nomi: lo statunitense William Vollmann, con Central Europe (uscito l´anno scorso da Mondadori) e l´inglese di lingua francese Jonathan Littell, con Le benevole (apparso da Einaudi nel 2007). In entrambi i casi, i disastri dei totalitarismi e delle guerre vengono mostrati attraverso un implacabile spoglio di orrori, seriale, burocratico, spesso anonimo, quasi a sigillare l´intuizione di Hannah Arendt sulla "banalità del male".
Quello di Erard è insomma un libro erudito, talvolta eccessivamente lirico, ma deciso a fare luce dentro il cuore di tenebra dell´uomo, «nella frontiera fra individuale e collettivo», come spiega egli stesso in un video che circola in Rete. Tutto si svolge in un´unica notte di ricordi trascorsa in treno, a dicembre, quando Francis Servain Mirkovic (figlio di un francese che ha fatto la guerra d´Algeria, e di una pianista croata) lascia Milano diretto a Roma. «Milano, città dal nome di rapace», osserva il narratore, mentre il pensiero va al nibbio, che in francese è appunto chiamato "milan". In effetti il protagonista, fascista in gioventù, ha commesso innumerevoli atrocità nei Balcani, ed è stato per un certo periodo trafficante d´armi, prima di finire dai servizi segreti francesi. Il suo viaggio mira a raggiungere la capitale, per consegnare a un rappresentante del Vaticano un dossier misterioso che contiene quindici anni di segreti. Durante il tragitto, sfilano ad una ad una le stazioni di Lodi, Parma, Modena e tante altre, come in questa toccante sequenza: «Giunsi a sognare un treno che unisse tutte le Alessandrie, un collegamento tra Alessandria del Piemonte Alessandretta di Turchia Alessandria d´Egitto Alessandria d´Arachosia, forse la più misteriosa, perduta in Afghanistan lontano dalle ferrovie, il treno si chiamerebbe l´Alessandria-Express e andrebbe da Alessandria Escate in Tagikistan fino al Piemonte passando per i labbri dell´Africa in tredici giorni e altrettante notti». Mirkovic rievoca stragi, stermini, stupri, tradimenti, oltre a amicizie e amori, in verità troppo spesso prevedibili: dalla materna Marianne, all´intellettuale Stéphanie, fino all´artista Sashka. Ma è certamente il nero a dominare, tanto che il romanzo è stato paragonato a un viaggio al termine della notte vicino a Céline, a Genet, a Burroughs e infine allo stesso Omero. Forse per questo, secondo François Monti, «un perfetto sottotitolo di Zona potrebbe essere: Tutto cominciò a Troia». Eppure, la lunga anamnesi di questo Ulisse contemporaneo, la cupa rievocazione del suo passato disumano, finiscono per aprirsi a una metamorfosi. Attraverso i conflitti che, dalla Prima Guerra Mondiale, hanno insanguinato la "Zona" mediterranea in senso lato (Algeria, Libano, ex Jugoslavia, Israele e Iraq), l´eroe sembra via via prendere coscienza della barbarie, allontanandosi dalle sue origini fasciste. Così, come in un rito di passaggio, i cinquecento chilometri di ferrovia porteranno a destinazione un passeggero diverso da quello salito a bordo, finalmente capace, con Pound, di «ammettere l´errore senza perdere il senso del giusto».