Paola Pica, Corriere della Sera 10/3/2011, 10 marzo 2011
L’ENI FA I CONTI CON LA TASSA GHEDDAFI
La somma, 280 milioni circa, è stata regolarmente accantonata anche nel bilancio 2010, i conti dell’ultimo anno che questa mattina a Londra l’amministratore delegato Paolo Scaroni presenta alla comunità finanziaria insieme all’atteso piano strategico al 2014. Però ancora non si sa se quella cifra che corrisponde a una tassa del 4%sugli utili prima delle imposte, l’Eni dovrà versarla come lo scorso anno nelle casse dell’Erario. Il fatto è che quell’imposta sul gruppo petrolifero è stata istituita per finanziare parte degli accordi contenuti nel Trattato «d’amicizia» con la Libia firmato da Silvio Berlusconi nel 2008. Contro quella che subito ribattezzata come la tassa Gheddafi, il gruppo petrolifero italiano ha fatto ricorso nei primi mesi del 2009 e l’iter giudiziario non si è ancora concluso. Il provvedimento almeno formalmente non risulta essere «ad aziendam» , nel testo in cui l’Eni non viene mai direttamente citata si fa solo riferimento a gruppi con un’elevata capitalizzazione attivi nell’esplorazione e nella produzione del gas in Libia. Se non saranno i giudici a fermare il balzello pro-Tripoli, potrebbero pensarci le autorità italiane ed europee in questi giorni. Il Trattato è sospeso, ha affermato il ministro degli Esteri Franco Frattini, confermando ancora nella serata di ieri come l’Italia sia pronta ad applicare le decisioni comunitarie. Poco meno di 300 milioni su un utile (netto) di 6,3 miliardi possono apparire poca cosa per il prosperoso conto economico dell’Eni che pure dalla Libia «estrae» ricavi per 2 miliardi di euro all’anno. E tuttavia la sospensione del finanziamento indiretto potrebbe forse rientrare nelle misure a tutela degli investimenti italiani ed europei. Dalla Libia allo sbando è arrivata comunque ieri in serata una dichiarazione distensiva sulle relazioni industriali. Tripoli, è stato affermato dal ministro del Petrolio, «onorerà i suoi impegni con le compagnie petrolifere straniere, compresa l’Eni. La Libia non intende rimettere in discussione le concessioni» ha detto ancora il ministro Shukri Ghanem, aggiungendo di essersi consultato con l’amministratore delegato Paolo Scaroni. «Facciamo gare aperte, non cambieremo programmi e onoreremo i nostri impegni. La priorità in questo momento è quella di garantire la sicurezza e l’integrità delle installazioni petrolifere» , ha concluso. Dall’inizio della rivolta il Paese ha tagliato di due terzi la produzione di petrolio passando dagli 1,6 milioni di barili al giorno agli attuali 500 mila. Di pari passo si è ridotta l’attività produttiva dell’Eni scesa a circa da 270 a 100 mila barili di petrolio al giorno. Un dato fornito ieri al Financial Times dallo stesso Scaroni che non lascerebbe il Paese mediorientale «per il bene del popolo libico» . «Secondo me— ha sostenuto — se possiamo produrre gas per il mercato elettrico locale è positivo per tutti» . Però «se la comunità internazionale ci dice di non produrre in Libia, allora ci fermeremo».