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 2011  marzo 10 Giovedì calendario

Il banchiere centrale in esilio «No a sanzioni: colpiscono i civili». Parla Bengdara: «Le nostre sofferenze porteranno altri immigrati in Italia» - MILANO — Farhat Omar Bengdara è stato dall’inizio uno dei misteri di questa guerra civile

Il banchiere centrale in esilio «No a sanzioni: colpiscono i civili». Parla Bengdara: «Le nostre sofferenze porteranno altri immigrati in Italia» - MILANO — Farhat Omar Bengdara è stato dall’inizio uno dei misteri di questa guerra civile. Governatore della banca centrale di Tripoli dal 2006, vicepresidente di Unicredit dall’anno scorso, Bengdara fino a ieri aveva fatto perdere le sue tracce. O, come dice lui, semplicemente non era (quasi) più riuscito a tenere i contatti con il resto del mondo da una Libia in cui Internet e i telefoni erano finiti molto in fretta fuori uso. Ora l’ex governatore è riemerso. Ieri ha fatto la spola fra Istanbul, dove vive in albergo, e una capitale del Golfo dove abita la sua famiglia. Ma neanche lui sa bene se sia ancora legalmente il governatore di Libia oppure no. Di certo c’è che il ruolo di «facente funzione» è appena andato al ministro delle Finanze del regime, Abdel Zlitni, e subito la banca centrale ha stretto i cordoni: l’uso della valuta estera sarà permesso solo ai libici autorizzati dall’istituto. Bengdara, lei sta ancora gestendo la banca centrale o no? «Mi hanno detto che Abdel Zlitni è stato nominato facente funzione. Ora è lui che gestisce tutto. Non credo che la sua nomina sia avvenuta nel rispetto della legge bancaria, ma forse altra gente a Tripoli la pensa in modo diverso» . Lei riconosce la validità degli atti del nuovo governatore? «Questo per me non conta più, non credo che tornerò mai a lavorare per la banca centrale della Libia. La sola cosa che mi preme adesso è di tenermi in contatto e comunicare con la comunità internazionale. Voglio sottolineare che queste sanzioni che si stanno decidendo creeranno ancora più sofferenza per il popolo libico» . In che modo le sanzioni colpiscono la gente comune? «Se si bloccano le attività in valuta estera, le banche libiche non saranno più in grado di pagare per gli alimenti e le medicine che la Libia deve importare. È evidente che chi ne risentirà sarà il popolo» . Ma lei da che parte sta, ancora con il regime o con gli insorti? «Il mio lavoro non è fare politica. Non ho un mandato politico, solo tecnico e professionale. Io sto dalla parte del popolo. La sola cosa che voglio è che il popolo della Libia sia messo in condizione di scegliere liberamente il governo che vuole. E mi faccia aggiungere: si parlava di fare molte riforme prima che esplodesse la violenza, ma ora si è fermato tutto» . Da cittadino lei avrà pure una posizione, no? «Sì, che si fermi la violenza. Questa porterà ancora altra violenza e nient’altro. I libici potranno risolvere i loro problemi solo attraverso il dialogo. Siamo un Paese ricco, abbiamo un grande potenziale» . Sta dicendo che dichiarare una «no-fly zone» sarebbe utile? «Non sono in grado di rispondere su questo, non ne so abbastanza» . Eppure lei fino a pochi giorni fa era governatore della Banca centrale di Libia con pieni poteri. Ha mai pensato che una rivolta fosse imminente, o possibile? «Nessuno se l’aspettava, tutto sembrava tranquillo. Entrambe le parti del Paese, l’Est e l’Ovest, beneficiavano dall’apertura della Libia sul mondo. Neanche le persone che avrebbero dovuto sapere che qualcosa stava per succedere si erano accorte di nulla. Se se ne fossero accorte, si sarebbero preparate» . Nel frattempo lei resta nel consiglio d’amministrazione di Unicredit, come vicepresidente. È in contatto con la banca? «Per me questa non è certo la questione più urgente. Ma sì, ultimamente sono stato in contatto» . Con chi? «Ho parlato con il presidente Dieter Rampl più di una volta» . E con l’amministratore delegato Ghizzoni? «Con Federico, sì, una volta» . Le quote libiche in Unicredit saranno congelate, a Tripoli c’è un facente funzione. Non preferisce dimettersi, data la piega che hanno preso gli eventi? «Non mi è stato chiesto. Non credo che la mia presenza nel consiglio di Unicredit costituisca un problema per la banca» . Ma può esserlo per la Libia tenere i propri soldi in azioni Unicredit, Eni o altrove. Non sarebbe meglio vendere prima che scatti formalmente il congelamento? «Decidere non tocca più a me. Comunque questo non è un buon momento per vendere, le quotazioni sono basse. E poi, perché? Dopo aver smobilizzato le quote, anche il denaro liquido sarebbe bloccato. Non riusciremmo comunque a rimpatriarlo» . Nel frattempo i petrodollari continuano a affluire verso la Libia, il Raìs si finanzia comunque. «Non è così semplice, non bisogna guardare al Paese come se non avesse istituzioni» . Resta però da capire quanto petrolio il Paese stia davvero vendendo a questo punto. Lei che ne dice? «Il flusso si è molto ridotto. Io sono all’estero dal 22 febbraio, ma degli amici mi dicono che è calato drasticamente. Difficile dire di quanto, forse anche di metà» . Il crollo delle vendite riguarda anche l’Italia? «Ovvio che l’Italia sarà comunque il Paese più colpito dall’instabilità in Libia. Siete il nostro principale partner commerciale, siete molto vicini. La sofferenza della gente da noi si tradurrà in immigrazione da voi. Bisogna che gli italiani ne siano consapevoli» . Federico Fubini